Tardiva diagnosi tumorale ed errori post-operatori

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Tardiva diagnosi tumorale e poi decesso del paziente

Una tardiva diagnosi tumorale e una gestione inadeguata del decorso post-operatorio hanno determinato, secondo i Giudici, una grave compromissione delle possibilità di sopravvivenza della paziente. Riconosciuta la responsabilità sanitaria con una doppia conforme viene criticata la adesione acritica alle conclusioni della CTU dinanzi alla Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 29 maggio 2025, n. 14351).

La tardiva diagnosi tumorale

I congiunti del paziente deceduto citano a giudizio il medico L.G. onde ottenere il risarcimento derivante dalla tardiva diagnosi della patologia tumorale renale, nonché per l’erroneo trattamento medico al quale era stato sottoposto nella fase pre e post-operatoria di nefrectomia.
Più nello specifico, si contesta al medico di avere sottovalutato il grave quadro clinico del paziente, omettendo la prescrizione di più accurati controlli ed esami, e successivamente, di essere incorso in un’errata gestione del decorso post operatorio, per la mancata prescrizione di terapia antiblastica adeguata al tipo di tumore asportato.

Il Tribunale di Caltanissetta (sentenza gennaio 2016), accoglie parzialmente la domanda e condanna il medico al pagamento della somma di euro 95.370,93 oltre interessi, nonché al pagamento iure proprio, della somma di euro 108.168,43 oltre interessi, e, infine al pagamento delle spese di lite. Il Tribunale condanna, inoltre, gli Assicuratori dei Lloyd’s a tenere indenne il medico suddetto per le somme da versarsi in favore dell’attrice, nonché al pagamento delle spese di lite in favore del medesimo convenuto.
La Corte di appello di Caltanissetta (adita dall’assicurazione) conferma integralmente la pronuncia di primo grado.

Ricorso in Cassazione e contestazione di ultrapetizione

Ricorso principale dell’assicurazione. L’assicurazione lamenta che i Giudici di appello sarebbero incorsi nel vizio di ultrapetizione, confermando la sentenza del Tribunale nella parte in cui accertava la responsabilità del medico per l’omessa asportazione dei linfonodi durante l’intervento chirurgico al quale il paziente era stato sottoposto. Deducono che i congiunti della vittima non hanno mai dedotto in giudizio alcunché sulla responsabilità e gli eventuali danni ad essa causalmente connessi.
Deducono, inoltre, che il contratto assicurativo in essere con l’Ospedale (on claims made basis) non copriva il rischio derivante dai fatti oggetto della domanda risarcitoria in parola poiché la sua denuncia (11 gennaio 2011), è successiva alla scadenza del contratto.

Ricorso incidentale del medico e ruolo nell’intervento

Il ricorso incidentale del medico. Lamenta (così come ha fatto l’assicurazione) che la Corte di appello ha affermato la sua responsabilità anche per fatti accaduti durante l’intervento chirurgico, in difetto di un’espressa domanda in tal senso avanzata da parte dell’attrice. Deduce che la sua partecipazione all’intervento avveniva in qualità di secondo operatore sprovvisto di poteri decisionali e di controllo, spettanti invece al primo operatore (dott. P).
Lamenta anche che i Giudici di appello non hanno considerato quanto affermato dal CTU, che aveva sottolineato il fatto che la scelta della “tattica chirurgica” era rimessa al primo operatore e che esso, nel caso di specie, era il dott. P. e non esso il dottor L. convenuto.
Il medico ricorrente incidentale sostiene che il tessuto argomentativo della sentenza, nel richiamare a supporto della pretesa erroneità della scelta fatta dal medico (nella fase operatoria) non sia stato doverosamente vagliato, sulla base delle deduzioni del CTP.

CTU, evidenze scientifiche e patologie concorrenti

Ed ancora, il medico si duole che il Giudice abbia acriticamente aderito a conclusioni della CTU che fondavano l’addebito di responsabilità nella fase post-operatoria non già su evidenze scientifiche, ma piuttosto su opinioni personali dello stesso CTU, discutibili, contraddittorie ed indimostrate, soprattutto all’epoca dei fatti, menzionando, peraltro, dati relativi a generici studi su asseriti benefici nel trattamento della patologia con l’utilizzo di determinati farmaci.
Inoltre, la sentenza impugnata non ha considerato la pacifica sussistenza di altre patologie tumorali, risultanti dalla stessa CTU (come il tumore alla prostata), di cui era affetto il paziente, sicuramente rilevanti in senso riduttivo rispetto al quantum risarcitorio riconosciuto sulla base delle prospettive di sopravvivenza indicate dal CTU e dell’aspettativa di vita media di uomini sani di 79 anni di età.

Contratto assicurativo e limiti del giudizio di Cassazione

Venendo ora alle censure inerenti il contratto di assicurazione, la Cassazione dà atto che i Giudici di merito, piuttosto che ritenere provata la stipulazione di un contratto di assicurazione diverso, hanno ritenuto provato il rinnovo (tacito) di quello precedente, acquisito nel giudizio. Tale valutazione riguarda il materiale probatorio acquisito in corso di giudizio, non sindacabile dalla Cassazione.
Per quanto riguarda la “differenza” tra primo operatore e secondo operatore dell’equipe medica, i Giudici di appello hanno fatto corretta applicazione del principio per cui “l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali…” (in tal senso già si pronunciava Cass. n. 2060/2018).

Doppia conforme e limiti dell’inammissibilità in Cassazione

Ad ogni modo, trattandosi di una doppia conforme quanto lamentato, comunque, è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
Infine, sulla lamentata adesione alle conclusioni del CTU la Suprema Corte ribadisce che quando il Giudice fa proprie le conclusioni del CTU che, nella sua relazione, abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei CTP, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei CTP, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal Consulente.

Conclusioni della CTU e rigetto dei ricorsi

I Giudici di appello hanno affermato che: “… un errore nella scelta del tipo di intervento vi sia stato è dato di fatto appurato dal C.T.U. il quale scrive: ritengo che la scelta effettuata dai chirurghi in quella occasione, cioè nefrectomia semplice e non radicale e soprattutto la mancata linfoadenectomia sia stata inidonea al caso ed abbia comportato una mancata correttezza dei principi di radicalità oncologica…”
Ed ancora: “… risulta accertato dalla C.T.U. che la responsabilità medica in capo al Dott. L. possa essere limitata …. al mancato invio del paziente presso un centro oncologico per le opportune terapie post-operatorie. Ne discende una accertata responsabilità del medico quanto meno nella fase post-operatoria atteso che sarebbe stato opportuno, trascorsi 40 giorni dall’intervento chirurgico che il medico, sospettando la rapidità dell’aggressione tumorale e della non radicalità dell’intervento effettuato avesse indirizzato il paziente ad un Oncologo per una ulteriore valutazione delle prospettive terapeutiche di una possibile recidiva locale…. Lo studio, condotto su 1.100 pazienti oncologici randomizzati, ha registrato una sopravvivenza totale media di 28,4 mesi nei pazienti trattati con Pazopanid e 29,3 mesi nei pazienti trattati con Sunitinib, … ma probabilmente sarebbe stato possibile rallentare l’avanzamento della malattia residua nella loggia renale e la sua diffusione metastatica ottenendo così una risposta parziale ed un prolungamento significativo della sopravvivenza libero da malattia…”.
Ebbene, la decisione assunta dai Giudici di secondo grado, pur se sintetica, si palesa intelligibile e coerente nella sua formulazione, mentre le doglianze dei ricorrenti non ne evidenziano una intrinseca contraddittorietà o illogicità, ma (inammissibilmente) mettono a confronto l’anzidetto apparato argomentativo con le risultanze processuali.

Entrambi i ricorsi vengono, dunque, rigettati.


Avv. Emanuela Foligno

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