Il lavoratore, privo degli idonei dispositivi di protezione individuali, aveva riportato gravi lesioni consistite in “un trauma cranico con fratture costali e versamento pleurico; trauma vertebro-midollare con frattura all+D12+LI con paraparesi grave”

Era stato condannato, in primo grado, alla pena (sospesa) di quattro mesi di reclusione, con la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, da liquidare in separata sede, e al pagamento in favore della stessa parte civile della somma di 15.000 euro a titolo di provvisionale. L’imputato, nello specifico, era stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 590 co. 3 cod. pen. in relazione all’art. 583 co. 1 n. 1 cod. pen. per avere, nella qualità di datore di lavoro – per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza nonché in violazione degli artt. 2087 cod. civ., 18 co. 1 lett. d) e lett. 1) dlg. 81/08, non provvedendo a fornire i necessari e idonei dispositivi di protezione individuali (calzature antiscivolo e guanti da lavoro) e ad adempiere gli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37 dlg. N.81/08 – cagionato a un lavoratore lesioni gravi consistite in “un trauma cranico con fratture costali e versamento pleurico; trauma vertebro-midollare con frattura all+D12+LI con paraparesi grave” dalle quali derivava una incapacità di attendere alle normali occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni. La Corte di appello, pur dichiarando prescritto il reato, aveva confermato la sentenza del Tribunale con riferimento alle statuizioni civili.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’imputato lamentava l’erroneità dell’asserita mancanza di dispositivi di protezione e della ricostruzione della dinamica dei fatti, evidenziandosi, al contrario, come in realtà dalle prove acquisite sarebbe emersa l’esistenza di un apposito sistema di protezione anticaduta. Si doleva poi dell’assenza di motivazione dell’impugnato provvedimento in relazione alle specifiche doglianze sollevate con i motivi di appello, che evidenziavano come si fosse pervenuti alla condanna alla condanna in virtù di una sorta di responsabilità oggettiva e/o da contatto sociale, a fronte della mancanza di gravità, precisione e concordanza degli indizi a suo carico.

La Cassazione, con la sentenza n. 24836/2021 ha ritenuto infondate le doglianze proposte.

I Giudici del merito, con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto avevano dato conto dell’infondatezza del motivo di gravame sull’insussistenza della responsabilità dell’imputato in quanto, premesso che il lavoratore al momento del sinistro era un lavoratore in nero alle dipendenze dell’imputato (e corretto il rilievo in base al quale la circostanza che non vi fosse un regolare contratto di lavoro non esimesse il datore di lavoro dall’osservanza della disciplina in materia infortunistica come pacificamente osservato dalla giurisprudenza di legittimità citata nella motivazione della sentenza di primo grado) risultava accertato altresì: che le lesioni del lavoratore erano state causate da una caduta dello stesso dall’autocisterna sulla quale era salito per l’approvvigionamento idrico all’interno delle bocche (botole) che la struttura contenitrice presentava sulla sua sommità, caduta verificatasi per lo scivolamento sul piano della struttura siccome bagnata a seguito dell’erogazione idrica promanante dal tubo di approvvigionamento finendo così sul piano del calpestio; che la circostanza -evidenziata dalla difesa dell’imputato- che al momento del fatto il lavoratore indossasse le scarpe antiinfortunistiche, la tuta ignifuga ed i guanti per il trasporto di gas liquido non esimeva da colpa il datore di lavoro perché quegli indumenti erano del lavoratore che li utilizzava per la propria pregressa attività lavorativa di trasporto di bombole di gas ma non erano quelli antiscivolo necessari per l’attività specifica che si stava apprestando a compiere su disposizione dell’imputato.

La Corte territoriale aveva anche dato atto che la responsabilità dell’odierno ricorrente si palesava in esito all’istruttoria dibattimentale ed agli accertamenti all’uopo espletati dall’Ispettorato del lavoro perché i necessari dispositivi di protezione antiscivolo (indicati nel capo di imputazione) non erano quelli richiesti per l’attività che in quel momento stava compiendo il lavoratore sull’autocisterna e che avrebbe dovuto fornirgli il ricorrente quale datore di lavoro ma erano quelli che il lavoratore era solito utilizzare per la diversa attività lavorativa di trasporto di bombole di gas ed anche perché, dalle modalità con cui era avvenuto il sinistro, l’imputato non aveva informato il predetto lavoratore, in violazione della normativa antinfortunistica , dell’esistenza dell’apposito sistema di protezione anti- caduta del tipo “parapetto ripiegabile a pantografo” che avrebbe dovuto essere aperto a compasso dallo stesso dipendente e bloccato in posizione eretta di apertura proprio al fine di proteggerlo dalla caduta e di eventuali scivolamenti.

Il danneggiato, dunque, non era stato all’uopo informato ed istruito essendo salito sull’autocisterna in quel particolare frangente temporale (anche se non era quella la mansione tipica che avrebbe dovuto svolgere dovendosi occupare della distribuzione delle bombole) su disposizione dell’imputato che gli aveva detto solamente “sali, apri il bocchettone e riempiamo la cisterna”.

La redazione giuridica

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