Respinto il ricorso del conducente del veicolo investitore contro la sentenza di condanna per il decesso del pedone

Nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso e, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente. Il conducente ha l’obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende.

E’ quanto ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 16851/2021 con la quale i Giudici Ermellini si sono pronunciati sul ricorso di un automobilista dichiarato responsabile, in sede di merito, del reato di cui agli artt. 113 C.d.S. e 589, commi primo e secondo.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente eccepiva che nell’atto di appello la difesa aveva escluso la sua responsabilità invocando il principio dell’affidamento, esponendo sia le circostanze del fatto (la vittima camminava all’interno della corsia di marcia di un viadotto autostradale dove a norma dell’art. 75, comma 6 Cds è fatto divieto di camminare, in un tratto completamente privi di illuminazione, vestito di scuro e privo di giubbotto catarifrangente) che le considerazioni effettuate dallo stesso consulente del pubblico ministero e che il Giudice di secondo grado aveva affermato che il principio dell’affidamento non spiegava effetti in quanto, nella specie, la condotta negligente della vittima era prevedibile ed evitabile, senza spiegare in base a quali criteri era giunta a tali considerazioni.

Deduceva, poi, che uno dei punti fondamentali della pronuncia di colpevolezza si basava sull’affermazione che l’imputato potesse vedere la vittima grazie alla visibilità garantita dai fari anabbaglianti; tale affermazione si basava sulle risultanze della consulenza espletata, in base alla quale i fari anabbaglianti potevano garantire al conducente un campo di visibilità di circa 70 metri, richiamando le norme tecniche contenute nel Regolamento europeo UN7ECE 48 al punto 6.2.6.12; le predette norme, tuttavia, non erano riferite alla distanza di proiezione del fascio luminoso dei fari anabbaglianti, ma alla loro inclinazione verso il basso.

Infine, l’automobilista contestavail vizio di motivazione con riferimento alla impossibilità di attraversamento pedonale, lamentando che il Collegio distrettuale avesse escluso un attraversamento repentino della corsia di marcia da parte della vittima, con motivazione carente ed illogica, facendo riferimento solo alla presenza del guardrail e non considerando le risultanze della consulenza di parte che valorizzavano la posizione degli urti dell’autovettura dell’imputato.

Gli Ermellini hanno ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte, respingendo le doglianze in quanto infondate.

La Cassazione ha rilevato come, a seguito di una valutazione globale del quadro probatorio, i Giudici di appello avessero confermato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, evidenziando come la accertata condotta gravemente imprudente del pedone (che procedeva su strada extraurbana e al di fuori della banchina, in orario notturno e con abiti scuri) non potesse ritenersi idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento morte della vittima, in quanto il comportamento imprudente di quest’ultima doveva valutarsi come prevedibile ed evitabile da parte dell’imputato.

In particolare, la Corte territoriale, rimarcando la condotta negligente dell’imputato, che non aveva prestato la dovuta attenzione che l’orario notturno gli imponeva nell’ispezione costante della strada ove procedeva così violando la regola fondamentale dell’obbligo di attenzione, aveva spiegato che plurime circostanze fattuali, complessivamente considerate, comprovavano la possibilità di un tempestivo avvistamento del pedone da parte dell’imputato (l’andamento rettilineo del tratto di strada teatro dell’evento, le condizioni di visibilità del luogo in relazione al campo di visibilità di circa 70 metri garantito dai fari anabbaglianti, la posizione del pedone, che camminava all’interno della corsia destra e nella stessa direzione di marcia del veicolo condotto dall’imputato).

La redazione giuridica

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