Asportazione di fistola retto-vaginale e scambio dell’esame istologico con quello di altro paziente (Cassazione civile, sez. VI,  dep. 27/05/2022, n.17276).

Asportazione di fistola retto-vaginale e scambio del materiale biologico prelevato per l’esame istologico con quello di un altro paziente affetto da patologia tumorale.

La donna adiva il Tribunale di Savona la Struttura ospedaliera esponendo che:

-) era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di asportazione di  fistola retto-vaginale;

-) in occasione dell’intervento era stato prelevato e sottoposto ad esame istologico un frammento di tessuto organico;

-) la struttura ospedaliera scambiò il materiale biologico prelevato sulla persona dell’attrice con quello prelevato sulla persona di altro paziente;

-) in conseguenza dello scambio all’attrice fu diagnosticata una malattia tumorale che in realtà non aveva, e di conseguenza fu sottoposta ad un intervento chirurgico di colonstomia in realtà non necessario.

Nel giudizio interveniva il marito dell’attrice, domandando il risarcimento del danno riflesso sofferto in conseguenza di quanto accaduto alla propria consorte a seguito della asportazione di fistola retto-vaginale.

Il Tribunale di Savona rigettava la domanda, sul presupposto che il materiale biologico in base al quale i sanitari avevano diagnosticato l’esistenza della malattia tumorale apparteneva con altissima probabilità alla donna.

La sentenza fu impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’Appello rigettava il gravame ritenendo che doveva escludersi sia uno scambio di reperti, sia un errore diagnostico; e concluse che l’attrice era effettivamente affetta da una malattia tumorale, correttamente diagnosticata e curata.

La sentenza d’appello viene impugnata per cassazione per violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.

Dopo aver ricordato che il nesso di causalità tra il fatto illecito e l’evento di danno va accertato in base al criterio detto “della preponderanza dell’evidenza”, la ricorrente deduce che “se la Asl Savonese non fosse incorsa nell’errore determinato da un referto eseguito su un preparato bioetico non appartenente all’odierna ricorrente”, quest’ultima non avrebbe riportato le gravi conseguenze sopra descritte; che anche il CTU rilevò che il materiale biologico prelevato era stato “contaminato con materiale umano non appartenente alla stessa”; che la Corte d’appello non aveva considerato le osservazioni mosse all’elaborato peritale dal CTP.

In definitiva, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto corretta la diagnosi di malattia tumorale compiuta dai sanitari dell’azienda convenuta, nonostante il materiale bioptico da essi esaminato fosse contaminato e perciò inattendibile.

Il motivo è inammissibile perché mescola censure diverse, senza che sia possibile stabilire quali di esse la ricorrente abbia inteso formulare.

Il motivo richiama i principi che presiedono all’accertamento del nesso di causa ; prosegue spiegando per quali ragioni la CTU si sarebbe dovuta ritenere inattendibile;  conclude affermando che i sanitari furono negligenti e che su essi ricadeva l’onere della prova liberatoria.

In buona sostanza, la Suprema Corte non è in grado di stabilire se con il motivo la ricorrente abbia inteso censurare il giudizio sulla causalità, quello sulla colpa o quello sul riparto dell’onere della prova.

Ed ancora, lo stabilire se del materiale bioptico appartenente alla ricorrente, fu o non fu contaminato; se quel materiale bioptico presentasse o non presentasse gli indici rivelatori di una malattia tumorale; se una CTU sia o non sia scientificamente attendibile, costituiscono altrettanti giudizi di fatto riservati al Giudice di merito e non sindacabili.

Anche le altre due censure sono ritenute inammissibili e generiche e il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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