Accolto il ricorso di un uomo contro la decisione dei Giudici del merito di porre a suo carico un assegno divorzile pari a 300 euro mensili in favore della ex moglie

Il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

E’ il principio ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 28104/2020, con la quale i Giudici Ermellini hanno accolto il ricorso di un uomo contro la sentenza di merito che aveva stabilito, a suo carico, un assegno divorzile di 300 euro mensili in favore dell’ex coniuge. Il marito, in particolare, aveva contestato alla Corte di appello di non aver tenuto conto nel giudizio del reddito da lui goduto, che ammontava a 1430 euro mensili gravato da svariate spese per motivi di salute.

La Suprema Corte ha precisato che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Pertanto “ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare una esistenza libera e dignitosa ed un’adeguata autosufficienza economica, nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti”.

In base al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è pertanto evidente – hanno sottolineato dal Palazzaccio – che il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio non può più costituire il parametro al quale fare riferimento per la determinazione dell’assegno divorzile, dovendo piuttosto il giudice avere riguardo alla indipendenza economica intesa come disponibilità di mezzi adeguati tali da consentire una vita dignitosa ed autosufficiente secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito”.

Risulta altresì – sottolineano ancora i Giudici Ermellini – che “l’assegno divorzile ha anche una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell’ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare”.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata, nello stabilire l’entità dell’assegno divorzile, non aveva dato conto adeguatamente della determinazione dell’importo stabilito e pur dando atto esplicitamente che il tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio non costituisce di per sé indice cui parametrare l’ammontare dell’assegno divorzile non aveva nemmeno indicato quale fosse il reddito del marito dimostrando così di non aver svolto una adeguata valutazione della situazione economica delle parti.

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