Nei contratti tra professionista e Pubblica Amministrazione la pattuizione del compenso professionale deve essere improntata al principio dell’equo compenso, pena la nullità della clausola contrattuale
La vicenda
Con avviso pubblico approvato con determinazione dirigenziale, la Provincia di Macerata procedeva all’acquisizione di candidature ai fini della nomina dell’Organo di Controllo (Sindaco Unico) di una società in house providing a controllo pubblico, il cui socio di maggioranza era la stessa Provincia di Macerata, per il triennio 2019/2022.
Nell’avviso pubblico si stabiliva che la selezione, tra tutte le candidature pervenute, sarebbe avvenuta mediante sorteggio e previa allegazione, da parte dei candidati, del proprio curriculum. Il medesimo avviso aveva previsto, tra le condizioni contrattuali, quella secondo cui all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarebbe stato corrisposto un compenso annuo pari ad Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA.
A seguito del sorteggio, veniva designato per la nomina l’odierno controinteressato.
Il ricorso al Tar
Oggetto del ricorso è stato il provvedimento di approvazione degli esiti e l’atto di nomina del professionista, impugnati nella parte in cui avevano previsto la determinazione (unilaterale) del compenso per le prestazioni da svolgere quale Sindaco Unico dell’Organo di Controllo della Società in house in € 2.000,00 annui oltre accessori e, quindi, al di sotto dei parametri minimi delle competenze professionali di riferimento, in asserita violazione della disciplina sull’equo compenso (art. 13 bis della legge n. 247 del 2012).
Sotto altro profilo, l’eccessiva riduzione del compenso, proprio in quanto incidente sull’autonomia e sul decoro del professionista, avrebbe influito nel senso di comprimere notevolmente la partecipazione alla procedura selettiva, alterandone in radice lo svolgimento, in violazione delle regole della concorrenza e di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
Compenso non equo: vessatorietà della clausola
«L’ordinamento – ha affermato il Tar Marche (Prima Sezione, sentenza n. 761/2019) – si preoccupa soprattutto di tutelare il diritto a una retribuzione adeguata dei professionisti lavoratori autonomi nei rapporti con i contraenti cosiddetti “forti” e nell’ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi – tra i quali è stata annoverata anche la pubblica amministrazione – prevedendo la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 dell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, le quali determinino, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e stabilendone la nullità, fermo restando il contratto per il resto (cfr., art. 13 bis, citato, commi da 4 a 8)».
Quanto ai parametri di riferimento per la determinazione del compenso che possa definirsi “equo”, essi sono indicati in particolare, nell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, che al comma 10, prevede: “Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”; e nell’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, che invece, al comma 2 prevede che “Le disposizioni di cui all’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.
Il compenso equo per commercialisti, revisori contabili e sindaci di società
Pertanto, se per gli avvocati si deve far riferimento ai parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 247 del 2012, per gli altri professionisti (nella specie i commercialisti e i revisori contabili) il compenso viene determinato sulla base dei parametri indicati nel decreto ministeriale n. 140 del 20 luglio 2012, quest’ultimo emanato per effetto dell’adozione del decreto legge n. 1 del 2012, che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano.
Più in dettaglio, per l’attività di revisione contabile, l’art. 22 del DM n. 140 del 2012 stabilisce che “il valore della pratica … è determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività e il compenso liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 4 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili”, mentre, per l’attività di sindaco di società, il successivo art. 29 prevede che detto valore sia determinato “in funzione della sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 11 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili”, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3 della medesima disposizione.
In definitiva, “la liquidazione del compenso …. avviene mediante l’utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. n. 140 del 2012 e non più in base al sistema tariffario di cui Dl d.P.R. n. 352 del 1988 e al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell’adozione del d.l. n. 1 del 2012 che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano, fornendo la base normativa per l’emanazione del d.m. n. 140 del 2012”.
Il sistema dei parametri non è vincolante per il giudice
Tuttavia, il sistema dei parametri non è vincolante per il giudice, esso, al contrario, assume solo un valore orientativo … sicché quella lasciata al giudice è una valutazione sostanzialmente equitativa e rimessa al suo prudente apprezzamento, soprattutto in considerazione del fatto che i parametri indicati dalla fonte normativa impiegata (l’impegno del professionista e l’importanza della prestazione, di cui all’art. 38 del d.m. n. 140 del 2012 ), lungi dall’offrire riferimenti numerici certi, richiedono per loro natura un giudizio ampiamente discrezionale” (TAR Lazio Roma, sez. II, 4 gennaio 2019, n. 126, richiamata da TAR Valle d’Aosta, 27 giugno 2019, n. 34; nello stesso senso, TAR Lazio Roma, sez. II, 21 marzo 2019, n. 3769).
Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, i giudici del Tribunale amministrativo delle Marche hanno affermato i seguenti principi:
– le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale (qual è quello in questione), sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;
– al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;
– detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili, ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);
– tuttavia, quando il cliente è un contraente forte – ovvero, come nella specie, la pubblica amministrazione – la pattuizione del compenso professionale incontra il limite del rispetto del principio dell’equo compenso (inteso, si ribadisce, come proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione), che va armonizzato con le esigenze di riequilibrio finanziario e non recedere rispetto ad esse (TAR Campania Napoli, sez. I, ordinanza n. 1541 del 25 ottobre 2018).
Alla luce di questi principi è stata dichiarata l’illegittimità della clausola contenuta nell’art. 1 di detto avviso pubblico, nei limiti e nella misura in cui, per l’individuazione del compenso da corrispondere al professionista, l’Amministrazione non aveva rispettato il principio dell’equo compenso. Per tali motivi, gli atti impugnati sono stati annullati.
La redazione giuridica
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