Chirurgo endoscopista effettua la sedazione senza chiamare l’anestesista

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Condannato il chirurgo endoscopista alla pena di mesi 4 di reclusione e al risarcimento del danno per aver effettuato una sedazione a un paziente senza chiamare l’anestesista. Ma la Suprema Corte cassa la sentenza (Cassazione penale, sez. IV, dep. 06/05/2024, n.17678).

Il fatto

Il paziente, di anni 86, nella mattina del 28/04/2017 si recava al pronto soccorso dell’Ospedale di Adria, lamentando disorientamento, sonnolenza, proctorragia, anemia e sospetto pneumotorace in quadro broncopneumonico. Veniva e sottoposto a indagine gastroscopica e colonscopica, in regime di sedazione, da parte dell’imputato il quale aveva agito senza assistenza anestesiologica. La procedura era stata eseguita iniziando alle ore 14.40 con la gastroscopia e terminando alle ore 15.15, quando la colonscopia era stata interrotta per “scadente toilette intestinale” e per le “strette angolazioni del viscere”, tali da rendere pericolosa la relativa procedura.

Al termine dell’esame il paziente veniva ricondotto in reparto, dove presentava un quadro clinico tale da imporre la chiamata di un anestesista. Il quadro clinico era rimasto inizialmente stazionario fino alle ore 17.15, quando era intervenuta una tachiaritmia trattata con infusione endovenosa di Isoptin. Successivamente le condizioni erano peggiorate, tanto che nel diario clinico era stato annotato uno stato “comatoso, non risvegliabile” ed era stata effettuata una emogasanalisi da cui era emersa una grave acidosi respiratoria e ipossemia. Alle ore 18.44 il paziente era stato trasferito presso l’unità di anestesia e rianimazione, ove era deceduto alle ore 20.00.

La vicenda giudiziaria

Al chirurgo viene addebitato, nella propria qualità di medico specialista endoscopista, di avere effettuato una sedazione mediante somministrazione combinata di Meperidina e Midazolam in autonomia e senza ricorrere, ai fini dell’affidamento della gestione della sedazione, all’ausilio di uno specialista in anestesia e rianimazione. Un esperto avrebbe potuto evitare il verificarsi di eventi avversi dovuti al sovradosaggio farmacologico o comunque garantito una loro immediata gestione. Inoltre il chirurgo avrebbe proceduto alla lenta titolazione dei predetti farmaci/ omettendo di somministrarli a dosi iniziali ridotte ed eventualmente ripetute, fino a ottenere un livello di sedazione idoneo alle necessità del caso.

In particolare, il Tribunale, facendo riferimento agli esiti della perizia, ha rilevato che le condizioni cliniche del paziente rendevano non solo opportuna, ma doverosa, la presenza di un anestesista, ai fini di un competente monitoraggio durante e dopo la procedura. Tanto in riferimento alle linee guida applicabili nel caso di specie e in conseguenza della inquadrabilità del paziente nella categoria di rischio anestesiologico ASA 3, con conseguente raccomandazione della presenza di un anestesista in riferimento alla procedura di sedazione.

Il Tribunale di Rovigo condanna il medico chirurgo alla pena di mesi quattro di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili. La Corte d’appello di Venezia conferma in toto la decisione di primo grado.

L’intervento della Cassazione

La Corte di Cassazione, invece, ritiene non correttamente eseguito il ragionamento controfattuale e il conseguente giudizio di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva addebitata al chirurgo e l’evento letale.

Sul punto è pacifico che occorra accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiedendosi il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (ed. giudizio esplicativo), al fine di verificare, sulla base di tale ricostruzione, se la condotta omessa possa valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione all’evitabilità dell’evento, ovvero alla sua verificazione in epoca significativamente posteriore e quindi se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il tutto da valutare alla luce dei criteri dettati dalle Sezioni Unite, in base ai quali, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica.

Motivazioni dei giudici di merito carenti

Ebbene, la motivazione dei Giudici di merito è carente nella parte in cui – nel recepire le risultanze dei Periti – non ha operato una chiara e adeguata esposizione del comportamento salvifico eventualmente da porre in essere subito dopo la conclusione della procedura endoscopica e antecedentemente all’effettivo affidamento del paziente nei confronti degli anestesisti (al cui comportamento le stesse sentenze hanno riconosciuto una valenza concausale nella determinazione dell’evento letale).

Entrambe le sentenze di merito, al di là del generico riferimento all’attività di monitoraggio che sarebbe stata posta in essere da un anestesista presente nel corso della procedura endoscopica, sono carenti riguardo la esatta formulazione del necessario giudizio esplicativo: non hanno specificato quale sarebbe stata – in concreto e in riferimento alle specifiche modalità di espletamento della procedura di sedazione e alle condizioni del paziente – la condotta idonea a deviare la concatenazione causale degli eventi.

Per tali ragioni la sentenza viene cassata con rinvio alla Corte di Venezia, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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