Tommasa Maio (segretario nazionale Continuità Assistenziale della Federazione): “A due mesi dalle nostre diffide è ora di conoscere la verità”

“Un’indagine approfondita e rigorosa su un campione estremamente rappresentativo rivelerà quali sono, a due mesi dal primo caso Covid di Codogno, le condizioni nelle quali stanno lavorando i medici della continuità assistenziale”. Tommasa Maio, segretario nazionale FIMMG Continuità Assistenziale, annuncia quella che di fatto è la prima e più ampia ricerca di valore scientifico sull’applicazione delle misure di sicurezza da parte delle istituzioni sanitarie tra i medici del settore.

La ricerca, che coinvolgerà più di un migliaio di camici bianchi in tutta Italia, sarà basata sulla compilazione di questionari e servirà a fare luce sulle tante richieste di aiuto che ancora oggi provengono dai vari scenari regionali. Il 24 febbraio scorso FIMMG ha formalizzato la prima lettera di diffida a tutti gli assessori regionali e ai direttori generali delle ASL.

Tra le richieste avanzate, l’applicazione immediata di adeguate misure organizzative che permettessero ai medici di continuità assistenziale di operare in sicurezza e in particolare la fornitura di dispositivi di protezione individuale per tutte le sedi di continuità assistenziale.

“Ciò che sappiamo – dice Maio – è che tra i tanti medici che hanno perso la vita diversi appartengono alla continuità assistenziale. Moltissimi i colleghi che sono stati contagiati, tanti senza mai aver avuto una diagnosi certa. Ora vogliamo la verità su ciò che si è fatto, o non si è fatto, per evitare i rischi”.

Rigoroso il metodo scelto per la compilazione dei questionari, compilati in assoluto anonimato ma solo su invito, così che ciascun medico possa compilarne on-line solo uno.

“La situazione epidemiologica rimane purtroppo preoccupante – aggiunge Maio – e come medici che lavorano sul territorio, in un setting assistenziale peculiare in cui spesso il paziente non è già noto al medico, non possiamo farci cogliere impreparati. Diversamente – conclude – la Fase 2 rischia di essere un disastro assistenziale e di vanificare quanto già fatto per la tutela della nostra salute e di quella dei cittadini che si rivolgono”.

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