Respinto il ricorso di un motociclista che chiedeva di essere risarcito per i danni fisici riportati nell’incidente che lo aveva visto coinvolto assieme a un autocarro

Un motociclista coinvolto in un sinistro stradale conveniva in giudizio il conducente e l’Assicurazione del veicolo antagonista chiedendo il risarcimento per i danni fisici riportati nell’incidente.

Il Tribunale, nel dichiarare la pari responsabilità dei conducenti nella causazione del sinistro, riconosceva all’attore, sulla base dell’espletata CTU, la somma di euro 34.368,00, a titolo di danno non patrimoniale, quella di euro 237,17, per spese mediche, e regolava le spese di lite e di CTU.

Il centauro impugnava la decisione, sia quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro sia quanto alla liquidazione del danno, ma la Corte d’Appello accoglieva solo parzialmente l’appello condannando i convenuti in solido al pagamento a favore dell’attore della somma di euro 636,58 a titolo di rimborso delle spese mediche, nonché alla metà delle spese di lite e di CTU del giudizio di primo grado, compensando le spese del giudizio d’appello.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il motociclista censurava la decisione impugnata, anche in ragione del mancato supporto di una C.T.U. cinematica, nella parte in cui, dopo aver affermato che il conducente del mezzo antagonista non aveva dimostrato di avere azionato l’indicatore di direzione, di essersi accostato all’asse della careggiata, di aver accertato che nessun veicolo sopravvenisse da tergo in fase di sorpasso, aveva ritenuto che al momento dello scontro la moto doveva trovarsi quanto meno al centro della carreggiata se non nell’opposta corsia di marcia, deducendolo dal fatto che la moto aveva impattato contro il copertone sinistro esterno posteriore del veicolo.

Detta ricostruzione dell’incidente – a suo avviso – contrastava con quanto affermato da un testimone, secondo il quale il camion aveva sterzato bruscamente a sinistra in un tratturo, l’impatto era avvenuto sulla corsia di destra, la moto era andata a sbattere contro la fiancata sinistra del camion, ed indicava la violazione da parte della Corte d’Appello dell’art. 2054, comma 2, c.c., non applicabile nel caso di specie, avendo il danneggiato provato sia il comportamento colposo dell’altra parte sia di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Gli Ermellini, con l’ordinanza n. 14443/2021 hanno ritenuto la doglianza non meritevole di accoglimento.

La sentenza impugnata aveva infatti fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, secondo il cui insegnamento, nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non determina ex se il superamento della presunzione di cui al comma 2 dell’art. 2054 c.c. ove l’altro conducente non risulti che si sia uniformato alle norme sulla circolazione stradale e abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno.

La censura del ricorrente celava il tentativo di ottenere un diverso accertamento della dinamica del sinistro e quindi della responsabilità dei conducenti in esso coinvolti, senza considerare che la Cassazione, con un costante orientamento, afferma che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico.

Nel caso in esame non risultava neppure specificamente confutata la ratio decidendi della sentenza impugnata che aveva ritenuto provato che il comportamento del ricorrente non fosse consono allo stato dei luoghi – non avendo osservato la distanza di sicurezza ed avendo tenuto una velocità inadeguata – anche ove si volesse dar credito a quanto dichiarato dal teste escusso, cioè che non fosse in procinto di eseguire una manovra di soprasso.

Inoltre – hanno aggiunto dal Palazzaccio – chi vuol dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c. deve considerare che, poiché la norma prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi).

La redazione giuridica

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