La vicenda ha ad oggetto un sinistro stradale mortale. La Corte di appello di Lecce (n. 18/2019), sezione distaccata di Taranto, ha confermato sia il rigetto della domanda risarcitoria iure proprio proposta nell’interesse del figlio, in relazione alla perdita del rapporto parentale conseguente al decesso del di lui nonno paterno, sia il ridottissimo accoglimento della domanda di risarcimento del danno iure hereditatis, con esclusione, in particolare, del ristoro del danno tanatologico.
Il caso
La ricorrente si rivolge all’autorità giudiziaria a seguito della morte del congiunto, deceduto il 10 agosto 2010 presso la struttura ospedaliera ove era stato ricoverato all’esito di un sinistro stradale occorsogli il precedente 23 maggio 2010, allorché il veicolo a bordo del quale egli viaggiava veniva travolto da un motociclo, sprovvisto di copertura assicurativa.
Il Tribunale affermava la integrale responsabilità del motociclo, ma rigettava la domanda di risarcimento del danno iure proprio, per perdita del rapporto parentale nonno/nipote, in ragione del difetto dei presupposti legittimanti, accogliendo, invece, in misura ridottissima, pari a 2.545,55 euro, quella volta al ristoro del danno iure hereditatis. Successivamente, come sopra detto, la Corte di Appello respingeva il gravame.
La Corte di Cassazione
I familiari della vittima censurano il rigetto del risarcimento per perdita del rapporto parentale avvenuto, a loro dire, sull’erroneo presupposto dell’assenza di convivenza tra nonno e nipote. Censurano anche, con riferimento alla sofferenza provata dalla vittima nella coscienza della morte, il mancato riconoscimento del danno tanatologico per mancanza di adeguata prova che nel tempo trascorso tra il sinistro e il decesso la vittima versasse in condizioni di cosciente consapevolezza della propria condizione.
Secondo la tesi della ricorrente, in caso di perdita del rapporto parentale, risulta risarcibile sia il danno biologico iure proprio che lo stesso congiunto abbia subito (consistente nella degenerazione “in un trauma fisico o psichico permanente” del danno morale dallo stesso patito, in ragione del decesso del proprio familiare), sia il danno biologico terminale della vittima primaria del sinistro, danno “sempre presente a prescindere dallo stato di coscienza”, da liquidarsi, quantomeno, “negli importi previsti dalle tabelle relative all’invalidità temporanea assoluta”, e fatto “salvo il riconoscimento di un maggior risarcimento” qualora “alla gravità delle lesioni si accompagni la sofferenza psichica (danno catastrofico) determinata dalla coscienza della gravità delle infermità e dalla consapevolezza della propria fine imminente”.
In caso di non convivenza va provata l’intensità del rapporto
La Corte di Appello non ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che nonno e nipote non fossero conviventi, come lamentato erroneamente dalla ricorrente, bensì rilevando che, “in assenza di stabile convivenza, l’onere di provare l’intensità del rapporto ed il danno non patrimoniale subito incombe su chi agisce per ottenere il risarcimento”.
Come già chiarito, a più riprese dalla giurisprudenza, si tratta di una prova che – in presenza di uno stretto rapporto di parentela – può essere fornita anche per presunzioni, ma dalla quale chi agisce non è esonerato, ciò che configura quello da perdita del rapporto parentale nei termini di danno “presunto”, “a differenza del cd. danno in re ipsa, che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione.
I Giudici hanno ritenuto non raggiunta la prova sulla base di una valutazione delle risultanze istruttorie – in particolare, delle prove testimoniali – che non è sindacabile in Cassazione.
Difatti, è pacifico che spetti al Giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Il danno tanatologico
Quanto, invece, al danno tanatologico, la Corte ha motivato così il rigetto: “non essendovi la prova che la vittima versasse in condizioni di consapevolezza del suo stato e della sua imminente fine”. Ciò è assolutamente corretto perché la risarcibilità di questa posta di danno presuppone che la vittima fosse consapevole dell’avvicinarsi della propria morte.
Gli Ermellini rigettano integralmente il ricorso (Cassazione Civile, sez. III, 17/04/2024, n.10416).
Avv. Emanuela Foligno