Alla lesione del diritto all’autodeterminazione può correlarsi un pregiudizio anche quando si ricostruisce che vi sarebbe stato comunque il consenso all’atto, perchè la scelta sarebbe stata declinata in modo differente (Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 26426 del 20 novembre 2020)

Una coppia conveniva in giudizio il Ginecologo, l’Ematologo e l’AUSL di Pistoia esponendo che:

– si rivolgevano ai Ginecologi, per accertarsi che la signora non fosse portatrice sana di talassemia;

– infatti, essendo tale il marito, qualora fosse risultato lo stesso anche nel coniuge si sarebbe avuta la probabilità del 25% di concepire un figlio malato di talassemia “maior”, altamente invalidante;

– il Ginecologo prescriveva esami ematici e indirizzava da una specialista ematologa;

– per errore diagnostico, i valori riscontrati erano attribuiti a carenza di ferro, con esclusione della talassemia;

– nascevano due gemelle, che avevano contratto la talassemia “maior”, e si era così scoperto che la madre ne era portatrice sana.

Il Giudice di primo grado, accertata la colpa medica prevalente dell’Ematologa, rigettava tuttavia la domanda della coppia per mancanza di prova della volontà abortiva della donna e per mancanza di allegazione specifica dei danni lamentati.

La decisione viene impugnata e la Corte d’Appello, in riforma della decisione di prime cure, osservava che:

“- dagli esami ematici l’Ematologa avrebbe dovuto evincere un sospetto di talassemia, mentre non aveva fatto ripetere le verifiche e non aveva neppure segnalato alcunchè al Ginecologo, nonostante la richiesta specifica della paziente e la conoscenza del suo stato di gravidanza;

– il Ginecologo aveva mancato di esaminare autonomamente i valori anche alti segnalati dagli esami, non aveva richiesto chiarimenti all’Ematologa, e non aveva domandato notizie su affezioni rilevanti del ramo collaterale, poi infatti risultate con riguardo alla sorella e ai relativi figli dell’attrice;

– nei rapporti interni, tenuto conto delle diverse discipline specialistiche, doveva ripartirsi la quota di corresponsabilità nella misura del 70% in capo all’Ematologa e nel 30% residuo a carico del Ginecologo;

– sussisteva, un concorso di colpa dei genitori istanti, nella misura del 20%, poichè erano a conoscenza della natura genetica della malattia, ed erano a conoscenza della patologia ematica definita microcitemia propria dei nipoti, ma non ne avevano parlato con i medici in sede di anamnesi”.

La Corte territoriale, escludeva il danno biologico e riconosceva, a titolo contrattuale per la madre e a titolo aquiliano per il padre, la lesione del diritto all’autodeterminazione che aveva inciso sulla consapevolezza e sulla libertà di scelta dei genitori.

La coppia impugna la decisione e ricorre in Cassazione lamentando il concorso di colpa loro attribuito, l’omesso esame di fatti decisivi, l’omesso riconoscimento del danno alla salute in capo alle figlie, l’omesso riconoscimento del danno biologico jure proprio.

Intervengono con ricorso incidentale l’Ematologa e il Ginecologo.

Gli Ermellini ritengono il primo motivo fondato avendo la Corte territoriale errato nella disciplina del concorso di colpa.

Difatti il paziente non può essere ritenuto responsabile per le carenze dell’anamnesi. Non rientra negli obblighi del paziente avere specifiche cognizioni di scienza medica, né sopperire a omissioni informative che il Medico deve raccogliere, e ciò a maggior ragione quando ci si rivolga proprio al Medico per la specifica ragione che poi viene contestata.

Il secondo motivo viene dichiarato inammissibile poiché il principio del libero convincimento del Giudice, in tema di valutazione delle prove, è apprezzamento di merito insindacabile in legittimità e finalizzato a proporre una rilettura istruttoria.

Il quinto motivo viene considerato fondato in quanto nell’Ordinanza istruttoria non è presente alcuna statuizione che funge da presupposto per valore di sentenza con la conseguenza che tale Ordinanza poteva essere revisionabile in sentenza.

E’ da escludersi, pertanto, che vi sia una ragione ostativa processuale all’eventuale riconoscimento del danno biologico quale conseguenza della riconosciuta lesione dell’autodeterminazione.

Per tali ragioni la questione del danno biologico è rimessa alla Corte territoriale con rinvio.

Riguardo il danno biologico jure proprio delle nasciture gli Ermellini ribadiscono che il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno.

Tale circostanza è stata cristallizzata dalle Sezioni Unite (25767/2015) che hanno chiarito come l’ordinamento non conosce il diritto a non nascere se non sano e che la vita del nato possa integrare un danno conseguenza dell’illecito del Medico.

E da escludersi, quindi, il riconoscimento di un pregiudizio biologico e relazionale in capo alle nasciture, essendo per loro l’alternativa quella di non nascere”, inconfigurabile come diritto in sé.

Differenti considerazioni, viene specificato, “avrebbero potuto ipotizzarsi se fosse stato allegato specificatamente il pregiudizio subito dal figlio per non essere stato in concreto accolto amorevolmente nella famiglia impreparata all’evento, ovvero non posta nelle condizioni di prepararsi, ovvero ancora, in tesi, che abbia manifestato il rifiuto dello stesso a seguito della lesione del diritto all’autodeterminazione”.

Quanto riportato dai ricorrenti si riferisce, invero, alla frustrazione delle aspettative e comunque alla posizione genitoriale, e non esplicita un pregiudizio relazionale tra gli stessi  e le figlie, che anzi viene smentito dalle allegazioni che riferiscono della tenacia compassionevole del padre e della madre, rivoltasi, poi,  alla inseminazione mirata e al trapianto midollare riuscito.

Ciò è l’esatto opposto di un diniego di accettazione o cura delle bambine.

Riguardo la lesione del diritto all’autodeterminazione il Collegio ribadisce che non si tratta di un danno in re ipsa e che tale lesione è degna di risarcimento laddove il pregiudizio sia dato dalla sofferente, quanto inaspettata, scoperta della malattia delle figlie e dall’assenza di consapevole preparazione all’alterazione della vita quotidiana seguita all’errore diagnostico.

“Alla lesione del diritto all’autodeterminazione può correlarsi un pregiudizio anche quando vi sarebbe stato comunque il consenso (qui, alla gravidanza), perchè la scelta sarebbe stata declinata in modo differente, con la possibilità di essere preparati all’evento accettato, laddove la motivazione della Corte di Appello deve evidentemente ritenersi far riferimento a questo, ferma la liquidazione equitativa, quando discorre di “valutazione dei rischi”.

In conclusione, la Suprema Corte accoglie il primo e il quinto motivo e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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