Respinto il ricorsi di due condomini accusati di diffamazione per avere offeso la reputazione degli amministratori del proprio stabile

Erano stati condannati in sede di merito, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di 500 euro di multa ciascuno, oltreché in solido al pagamento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separata sede, per il reato di diffamazione, ai sensi dell’art 595 del codice penale. Nello specifico i giudici ne avevano riconosciuto la penale responsabilità in quanto, comunicando con vari condomini amministrati da una Sas, offendevano la reputazione degli amministratori, riferendo che gli stessi “gestivano male i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all’estero e non pagavano le fatture”, criticandone anche le capacità professionali.

Nel ricorrere per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, deducevano, tra gli altri motivi, vizio di motivazione in relazione alla valenza offensiva e denigratoria delle frasi da loro asseritamente pronunciate, non ricavata da un ragionamento obiettivo. A loro avviso, l’affermazione della mala gestio dell’amministrazione condominiale integrava un legittimo esercizio del diritto di critica.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 11013/2020 ha ritenuto inammissibile il motivo del ricorso in quanto manifestamente infondato.

Per i Giudici Ermellini, infatti, la sentenza impugnata aveva correttamente ritenuto integrato il reato di diffazione di cui all’art. 595 c.p., non essendo configurabile nella fattispecie la scriminante del diritto di critica.

Invero – specificano dal Palazzaccio – le frasi pronunciate alla presenza di più persone, con le quali l’amministratore di un condominio viene tacciato di illecita appropriazione del denaro a lui versato dai condomini al fine di far fronte a debiti personali od impiegarli in viaggi, in assenza di qualsivoglia elemento attestante la veridicità di quanto affermato, integrano senz’altro il delitto di diffamazione.

La Cassazione ha chiarito che il procedimento logico-giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato. Una volta stabilito poi il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, l’attenzione del giudicante può spostarsi sull’apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all’art. 51 del codice penale relativa all’esercizio di un diritto.

Il Giudice di appello, nel caso in esame, si era attenuto correttamente a tale scansione evidenziando la natura lesiva dell’altrui onore delle espressioni oggetto di contestazione.

Tanto premesso non poteva quindi ritenersi operante nella fattispecie in esame la scriminante invocata dai ricorrenti dell’esercizio del diritto di critica. Peraltro – sottolinea la Suprema Corte – l’accertamento della scriminante in questione richiede, in linea generale, la verifica della sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: la verità, l’interesse alla notizia e la continenza.

Nella fattispecie in esame difettava innanzitutto il primo essenziale requisito, ossia la verità della notizia, in base a quanto più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica. Corretta, pertanto, si presentava la valutazione del giudice d’appello che aveva escluso la ricorrenza del legittimo esercizio del diritto di critica da parte degli imputati, ritenendo che non potesse ritenersi tale la propaganda di notizie per le quali i ricorrenti, senza averne prova alcuna, avrebbero distratto illecitamente il denaro condominiale per far fronte a propri debiti od impiegandolo in spese personali.

La redazione giuridica

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