Non importa che il reddito dell’imputato rientri nei limiti di quello consentito per l’ammissione al gratuito patrocinio, ciò che rileva è che egli ne abbia consapevolmente omesso la dichiarazione
La vicenda
La Corte d’Appello di Caltanissetta aveva confermato la pronuncia di condanna a carico dell’imputato in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 per aver falsamente dichiarato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata nel maggio 2012, che né lui, né i componenti del suo nucleo familiare avessero percepito redditi durante l’anno precedente.
Sebbene il reddito dell’imputato (150 euro e 6.260,00 euro quello percepito dalla moglie) rientrava nei limiti di quello consentito per l’ammissione al gratuito patrocinio, la sua condotta era stata giudicata penalmente rilevante per il sol fatto dell’omissione dichiarativa.
La giurisprudenza
Sul tema la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte affermato che “ai fini della integrazione del reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso”.
In altre parole, “se è ben vero che il reato sussiste anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo”.
Nel caso in esame, la Corte di merito aveva specificamente motivato, escludendo che la dichiarazione difforme dal vero resa dall’imputato (il quale nel giudizio di merito aveva sostenuto che non era in grado di comprendere quanto risultante dall’ISEE, stante il suo basso grado di istruzione) fosse stata frutto di una mera negligenza, atteso che la dichiarazione da lui rilasciata faceva specifico riferimento all’assenza di qualunque introito, e che il reddito percepito dalla moglie convivente, per quanto modesto, non era certo di entità assolutamente irrisoria, attestandosi pur sempre attorno ai 6.000 Euro annui.
La decisione
La Corte di Cassazione (Quarta Sezione Penale, sentenza n. 49572/2019) ha confermato la decisione della corte d’appello, ricordando per completezza che il D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 76, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui al cit. D.Lgs., art. 95, non costituisce legge extrapenale, perciò l’errore da parte del soggetto attivo su di essa non può avere incidenza scusante.
Deve, infatti, essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi invece, intendere per “legge diversa dalla legge penale” ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015).
Per questi motivi, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La redazione giuridica
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