Il fatto di avere avuto rapporti cautelati durante il matrimonio è stata ritenuta circostanza dalla quale desumere che la ricorrente fosse a conoscenza o in ogni caso avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza, la volontà dell’altro coniuge di non avere figli

La vicenda

La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza ecclesiastica divenuta esecutiva, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio contratto tra le parti.

Nella specie, la Corte territoriale aveva ritenuto accertato, alla stregua della decisione ecclesiastica e delle prove raccolte nel relativo giudizio, che vi fosse la prova di concreti elementi rilevatori della volontà del marito, manifestati già prima della celebrazione del matrimonio, di esclusione della prole dalla futura vita coniugale.

Il ricorso per cassazione

Contro la sentenza della corte capitolina ha proposto ricorso, la moglie lamentando la violazione e falsa applicazione delle norme processuali per essere la motivazione inesistente o meramente apparente.

Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello si era limitata a far riferimento ai presunti rapporti cautelati, per di più nel periodo precedente alla celebrazione del matrimonio, senza addurre ulteriori elementi favorevoli a sostegno della propria conclusione e soprattutto senza disattendere gli elementi contrari emergenti dagli atti del giudizio ecclesiastico.

In particolare, dalle dichiarazioni testimoniali assunte nei giudizi ecclesiastici era emersa una situazione di vita coniugale perfettamente in linea con i dogmi cristiani e comunque del tutto contrastante con quanto sostenuto dal coniuge.

Inoltre «la Corte d’Appello con una semplice asserzione di principio si [era limitata] a desumere dalla circostanza di avere avuto rapporti cautelati la sua necessaria conoscenza della riserva mentale del marito [di non volere avere figli durante la vita matrimoniale]».

Il motivo di ricorso è stato ritenuto infondato.

Al riguardo la Corte di Cassazione ha giù chiarito che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei “bona” matrimoniali, quale quello relativo alla prole, e cioè per una ragione diversa da quelle di nullità previste per il matrimonio civile dal nostro ordinamento, non impedisce il riconoscimento dell’esecutività della sentenza ecclesiastica, quando quella esclusione, ancorché unilaterale, sia stata portata a conoscenza dell’altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o, comunque, questi ne abbia preso atto, ovvero quando vi siano stati concreti elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave (Cass. n. n.4517/2019 e Cass. n. 11226/2014).

La delibazione trova infatti ostacolo nella contrarietà al principio di ordine pubblico italiano di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole solo qualora la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione non sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero non sia stata da questo effettivamente conosciuta o ignorata esclusivamente per sua negligenza.

La decisione

Di tali principi aveva fatto corretta applicazione la Corte d’Appello di Roma che, dopo aver dato atto che nei vari gradi del procedimento ecclesiastico era stato assicurato il diritto delle parti di agire e resistere in modo non difforme da quanto stabilito nell’ordinamento giuridico italiano, aveva accertato che la ricorrente fosse a conoscenza o in ogni caso avrebbe potuto conoscere con ordinaria diligenza, la volontà dell’altro coniuge, manifestata con indici rivelatori prima del matrimonio, di esclusione della prole.

Tale accertamento di fatto, – hanno ricordato i giudici Ermellini – costituisce un apprezzamento di merito che è sottratto al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ..

La Corte di Cassazione (Prima Sezione, n. 32027/20198) ha pertanto confermato la pronuncia di merito che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente –era coerente e immune da vizi.

La redazione giuridica

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