La Corte d’Appello, con decisione del 3 novembre 2022, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale che aveva condannato il Medico responsabile dell’unità operativa di cardiochirurgia della clinica privata accreditata Sa. Ma. Spa, per il reato omicidio colposo commesso in danno del paziente per aver rimandato un intervento ritenuto urgente, dichiarava prescritto il reato, ritenendo comunque configurabile la responsabilità dell’imputato e confermando le statuizioni disposte dal primo grado in favore delle parti civili costituite. Il ricorso in Cassazione dell’imputato viene respinto (Cassazione Penale, sez. IV, dep. 29/01/2024, n.3390).
La vicenda
Il 26 dicembre 2011 il paziente avvertiva un forte dolore toracico retro sternale accompagnato da dorsalgia che si irradiava verso la zona lombare, dolore che gli impediva di rimanere alla guida della propria autovettura. Trasportato presso il Pronto Soccorso veniva sottoposto ad accertamenti dai quali risultava “modesta anemia, fortissimo aumento dei D Dimeri e un aneurisma, ossia una dilatazione dell’aorta toracica discendente di 6,5 cm”.
Alle ore 22.30 del medesimo giorno veniva trasferito in codice rosso in ambulanza con assistenza rianimatoria e quattro sacche di sangue presso la Clinica Sa. Ma, ove veniva ricoverato presso il reparto di terapia intensiva e sottoposto a trattamento antidolorifici e anti pressori. Il giorno successivo, 27 dicembre, il paziente veniva ricoverato presso il reparto di cardiochirurgia della medesima clinica per la valutazione del trattamento chirurgico da eseguire. Il successivo 28 dicembre, alle ore 10.30, veniva sottoposto dal cardiologo emodinamista ad esame coronarografico e angiotac che confermavano la dilatazione di cm 6,4 dell’aorta discendente. A seguito di tali risultati, il Medico responsabile del servizio di emodinamica contattava immediatamente l’imputato, responsabile del reparto. Quest’ultimo, assente per ferie, stabiliva di eseguire personalmente l’intervento chirurgico al suo rientro, il 4 gennaio 2012. Il 30 dicembre si verificava il decesso per rottura dell’aneurisma dell’aorta toracica discendente.
L’imputazione
All’imputato veniva contestato di aver agito con colpevole ritardo. Infatti, nonostante il trasferimento dall’ospedale in codice rosso e l’evoluzione del quadro clinico imponessero un intervento in emergenza, l’imputato qualificava come non urgente il trattamento chirurgico, tranquillizzando i parenti sulla non necessità di un intervento imminente e l’assenza dei rischi di attesa, limitandosi alla somministrazione di una terapia sintomatica del dolore e dell’ipertensione arteriosa, che non aveva impedito l’insorgenza della rottura dell’aneurisma.
La Corte di Appello concordava con la tesi del primo Giudice secondo cui l’imputato, contattato telefonicamente dai Medici del proprio reparto mentre si trovava all’estero, in vacanza, era stato reso compiutamente edotto della situazione clinica del paziente, situazione che deponeva per un intervento in emergenza, e, ciononostante, aveva optato per la scelta attendista di procedere all’intervento dopo otto giorni, al suo rientro dalle ferie, nonostante i dati clinici dessero inequivocabili indicazioni della necessita assoluta di procedervi al più presto.
In particolare, i Giudici d’appello confutavano la tesi difensiva secondo cui la condotta dell’imputato non avrebbe avuto efficacia causale in quanto intervenuta dopo le 24 ore, tempo in cui si sarebbe dovuto eseguire l’intervento; che, anzi, le condizioni cliniche stabili del paziente deponevano per una scelta attendista; che comunque egli aveva espresso non una indicazione terapeutica vera e propria ma un semplice parere. La Corte, in particolare, rilevava che proprio l’incauto decorso dei tempi dell’emergenza delle 24 ore avrebbe dovuto ancor di più allertare l’imputato circa la assoluta necessita di procedere con l’intervento chirurgico, anche in considerazione dei dati clinici del paziente, comunicati all’imputato dai Medici del reparto.
Il vaglio della Cassazione
Il Medico imputato deduce la mancanza di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza. Il capo di imputazione, invero, gli attribuiva il mancato intervento in emergenza all’atto di trasferimento dall’ospedale alla Clinica Privata, o al massimo entro le 24 ore. Secondo la tesi del ricorrente, poiché egli era stato messo al corrente della esistenza della situazione clinica del paziente dopo le 24 ore dal trasferimento presso la Clinica Sa. Ma., non poteva addebitarsi la mancata esecuzione dell’intervento salva vita in emergenza, ossia al momento stesso del trasferimento ovvero nelle 24 ore successive (ossia il 27 dicembre), posto che egli era stato avvisato il 28 dicembre dopo le 10.30 del mattino. All’imputato erano stati dunque addebitati fatti successivi, non contestati nel capo di imputazione.
Con altre censure deduce la mancata rinnovazione dell’istruttoria e il travisamento delle testimonianze.
Per quanto qui di interesse, il primo motivo, relativo al difetto di correlazione fra accusa e sentenza, è infondato.
Non c’è violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza
La S.C. dà seguito all’orientamento secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva.
Questo principio trova la propria ratio nella necessità di garantire il diritto di difesa dell’imputato, ergo l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non si esaurisce nel mero confronto letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Al Medico è stato contestato di aver cagionato per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nell’inosservanza delle leggi mediche, il decesso della persona offesa per avere qualificato come non urgente il trattamento chirurgico limitandosi alla somministrazione della terapia sintomatica del paziente.
Nessun rapporto di eterogeneità fra la condotta contestata e quella ritenuta in sentenza può essere considerato sussistente
È dunque evidente che nessun rapporto di eterogeneità fra la condotta contestata e quella ritenuta in sentenza può essere considerato sussistente, essendo stato imputata l’omissione consistente nella mancata indicazione di un intervento chirurgico immediato, non appena egli fu messo al corrente delle condizioni cliniche del paziente, posto ed accertato che l’intervento doveva essere eseguito in condizioni di emergenza, ossia nelle 24 ore, è altresì pacifico che l’imputato, quando fu avvisato, attese ben oltre le 24 ore, decideva di posticipare l’operazione di ben sei giorni rispetto al momento in cui egli venne contattato, momento in cui il paziente era ancora vivo ed avrebbe potuto essere salvato.
Quanto al mancato espletamento della perizia essa, secondo giurisprudenza costante, è mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del Giudice.
La sentenza con cui il Giudice respinge la richiesta di una perizia, ritenuta decisiva dalle parti, non è censurabile in Cassazione
Ne consegue che la sentenza con cui il Giudice respinge la richiesta di una perizia, ritenuta decisiva dalle parti, non è censurabile in Cassazione, perché costituisce il risultato di un giudizio di fatto, come tale non valutabile in sede di legittimità, purché risulti sorretto da adeguata motivazione.
La vicenda oggetto di esame della Cassazione, oltretutto, è una c.d. “doppia conforme”, rispetto alla quale la giurisprudenza afferma pacificamente che il vizio di travisamento della prova possa essere dedotto con il ricorso per cassazione solamente in due ipotesi:
- quando il Giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice,
- ovvero quando entrambi i Giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti
I diversi elaborati peritali
Entrambi i Giudici di merito hanno ricostruito i fatti e confrontato i diversi elaborati peritali presentati dalle parti in maniera ampia ed approfondita analisi circa tutti gli aspetti della vicenda clinica, non vi sarebbe stato spazio, pertanto, per l’effettuazione di una nuova perizia, di per sé stessa non decisiva.
Inoltre, le decisioni di merito danno ampia contezza dell’esame del caso alla luce delle linee guida laddove affermano, con osservazioni che non risultano specificamente oggetto d critica, che “le linee guida del 2010 della società europea di cardiochirurgia, di cui fa parte la società italiana di cardiochirurgia, prevedono una gestione multidisciplinare del paziente cardiopatico (ed heart team) nel caso di specie non adottata”.
Ed ancora, sia il primo Giudice che la Corte d’Appello hanno dato conto della attendibilità del dato relativo all’aumento del volume dell’aorta toracica discendente. In particolare, il primo Giudice riprende la spiegazione dei CT del PM, secondo cui ” per convenzione medica quando si dice aorta toracica si parla della aorta discendente toracica, mentre quando ci si riferisce alla aorta ascendente se ne fa espressa menzione, si dice, cioè, espressamente ” aorta toracica ascendente”.
Le chiare indicazioni per un intervento urgente
Pertanto, risulta ampiamente e congruamente motivata l’adesione alle conclusioni del periti del PM, che hanno ritenuto, sulla base delle evidenze scientifiche in atti, come vi fossero chiare indicazioni, in quel determinato caso, per un intervento immediato in presenza di dati quali:
- dilatazione dell’aorta, peraltro aumentata ulteriormente in pochi mesi, avente dimensioni molto significative in un paziente che presentava la corporatura della persona offesa;
- sintomatologia dolorosa, risultante per tabulas dal diario clinico del paziente, che ne attestava la mancata risoluzione con le terapie analgesiche apprestate durante il ricovero;
- elevatissimo valore dei D Dimeri, aventi significativo e pregnante valore predittivo se valutati insieme agli altri elementi sopra menzionati.
Anche l’accertamento causale svolto dai Giudici di merito è del tutto corretto ed è stato svolto secondo lo “schema Franzese”.
Il reato colposo omissivo improprio
Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può, infatti, ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso e configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
A sua volta, il giudizio di alta probabilità logica deve essere fondato oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.
Ricorso rigettato.
Avv. Emanuela Foligno