La questione riguarda una asserita serie causale nuova introdotta nelle note conclusive sulla scorta dell’ultimo supplemento di CTU. Tuttavia, la Cassazione rigetta il ricorso per un difetto di forma (Corte di Cassazione, III civile, 17 luglio 2024, n. 19800).
Il caso
Convenuta a giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone per il risarcimento dei danni in relazione a un intervento chirurgico ortopedico, dopo il quale era stata contratta una infezione nosocomiale (per Staphylococcus aureus) che aveva causato postumi invalidanti al braccio destro del paziente.
Disposta CTU, il Tribunale di Palermo, con sentenza del 14 novembre 2017, respingeva ogni domanda attorea. Successivamente, invece, la Corte siciliana accoglie la domanda risarcitoria e condanna l’Azienda Sanitaria al risarcimento per oltre quarantotto mila euro.
Il ricorso in Cassazione
Secondo l’azienda Sanitaria, il Giudice d’appello avrebbe accolto “una domanda nuova” per essersi pronunciato su una serie causale del tutto nuova rispetto a quella dell’atto di citazione, che aveva trovato ingresso solo nelle note conclusive dell’attrice, sulla scorta dell’ultimo supplemento di CTU. In particolare, la motivazione dei Giudici di Appello non dimostrerebbe che la attrice abbia lamentato una responsabilità per “erronea scelta dell’antibiotico da parte dei sanitari, né danni causati da tale erronea scelta”, e comunque “mancherebbe totalmente la trattazione del nesso di causalità con specifico riferimento al ritardo nella somministrazione del corretto antibiotico”.
Riguardo l’infezione nosocomiale, l’ASL sostiene che la danneggiata non avrebbe impugnato la sentenza del tribunale laddove questa “ha riconosciuto che l’Ospedale ha eseguito correttamente la propria prestazione con riferimento alle condizioni ambientali, alla disinfestazione, sanificazione del blocco operatorio prevenzione delle infezioni e che pertanto l’infezione non è ascrivibile ad una condotta colposa per omissione” dell’attuale ricorrente.
La Cassazione dichiara integralmente inammissibile il ricorso per violazione dell’art. 366, I comma, n. 3 c.p.c.
Ricorso respinto per “assemblaggio”
Nella parte del ricorso anteriore all’esposizione dei motivi, viene effettuato un continuo e ampio “assemblaggio”. Infatti dapprima “si trascrive integralmente perché necessario” l’atto di citazione; poi viene effettuata quel che la ricorrente denomina “trascrizione integrale” della sentenza del primo giudice; segue “la integrale trascrizione” dell’atto d’appello; infine, dichiarando la ricorrente “necessaria la trascrizione della motivazione”, viene effettivamente trascritta la motivazione della sentenza d’appello.
Tutte queste trascrizioni sono giustificate dalla ricorrente con un’asserita necessità “ai fini dell’omnicomprensività del ricorso”. Al contrario, nel testo ratione temporis applicabile, l’articolo 366, primo comma, n. 3 c.p.c., chiede “l’esposizione sommaria dei fatti della causa” come componente, pena inammissibilità, del contenuto del ricorso, e anche post riforma viene richiesta “la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso”.
Il difetto di forma
Ormai consolidata giurisprudenza ha riconosciuto che la trascrizione di interi atti, oppure di ampie porzioni di questi (appunto il cosiddetto assemblaggio) integra la violazione dell’articolo 366, primo comma, n.3 c.p.c., arrecando inammissibilità al ricorso.
Vi è, tuttavia, un minoritario orientamento solo parzialmente conforme, che entro certi limiti applica un principio conservativo, tra l’altro valorizzando in senso sanatorio l’illustrazione dei motivi stessi (v. Cass. Sez. 3, 28 giugno 2018 n. 17036). Per cui per integrare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa non occorre che tale esposizione sia una parte a sé stante del ricorso, essendo sufficiente che emerga “in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi”.
Invero, la lettura nettamente maggioritaria – che trova sostegno nell’interpretazione delle Sezioni Unite del 2014 – viene condivisa e continuata dalla decisione a commento in quanto non è compito del giudice “correggere” la conformazione inammissibile degli atti – ovvero, nella fattispecie, ricondurre ad un artificioso e non reale tamquam non essent le trascrizioni integrali dandole per espunte –, per cui le trascrizioni devono essere tenute in conto come presenti nel ricorso e non possono pertanto renderlo compatibile con la concisione che esige il requisito di cui all’articolo 366, primo comma, n. 3 c.p.c.
In conclusione, il ricorso, assorbito ogni altro profilo, viene dichiarato inammissibile per questo difetto di forma.
Avv. Emanuela Foligno