La valutazione delle condizioni sanitarie assume valenza preponderante ai fini dell’accertamento dell’inabilità al lavoro, sicché – in presenza di una invalidità al 100% – l’eventuale sussistenza di una residua capacità di lavoro deve essere basata su dati clinici, e non sull’acritica constatazione che il soggetto abbia svolto attività lavorativa (Corte d’Appello di Reggio Calabria, Sez. Lavoro, Sentenza n. 473/2021 del 23/11/2021-RG n. 676/2019)
Il ricorrente, in qualità di figlio inabile del padre deceduto il 26 dicembre 2014, dando atto di aver presentato domanda amministrativa in data 22 febbraio 2016, allegando certificato medico con cui gli era stata diagnosticata “Malformazione complessa del snc con idrocefalo ostruttivo neonatale (s. di Dandy – Walker malformazione di chiari) trattata chirurgicamente con dvp epilessia generalizzata. Ritardo mentale lieve. Grave deficit visivo bilaterale con od spento”, precisava che tale domanda era stata rigettata dell’INPS, per assenza dell’inabilità al lavoro al momento del decesso del familiare. Premessa la sussistenza di tutti i requisiti stabiliti dall’art. 13 legge 636/1939 per il conseguimento del beneficio, specificava, quanto al requisito della inabilità al lavoro e della vivenza a carico, di versare nelle condizioni fissate, da ultimo, dall’art. 8 legge 222/1984, che richiede l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, essendogli stata riconosciuta dalla Commissione Medica dell’INPS una invalidità al 100%, ed essendo in possesso del requisito reddituale, non percependo un importo superiore a quello stabilito per la pensione di invalidità civile.
Costituitosi l’INPS, che chiedeva il rigetto della domanda, veniva disposta ed esperita CTU medico – legale e, in esito ai risultati della stessa, il Giudice di primo grado rigettava la domanda.
Il primo Giudice puntualizzava che, secondo quanto accertato dal CTU, il ricorrente aveva prestato attività lavorativa sia nel 2014 e nel 2016 per diversi mesi, sia pure con mansioni di cuoco e lavapiatti, e non risultava dimostrato che lo stesso non avesse capacità di svolgere le dette attività per un numero di mesi maggiore e dunque che mancasse la potenziale capacità di guadagnare.
Nulla è stato disposto sulle spese processuali, stante la dichiarazione di esonero presentata dal ricorrente.
La decisione viene appellata.
L’appellante si duole perché il CTU, nel dare conto di alcuni periodi di prestazione di attività lavorativa svolti dal ricorrente, sarebbe andato al di là del proprio incarico, che consisteva esclusivamente nell’accertamento del requisito sanitario.
Secondariamente, deduce che la condizione di inabilità, necessaria ai fini del conseguimento della pensione indiretta, sarebbe da valutare in concreto, con riferimento alla effettiva possibilità di svolgere non una qualsiasi attività lavorativa, bensì una attività idonea a far conseguire al soggetto un guadagno non meramente simbolico e tale da permettergli un’esistenza libera e dignitosa.
Infine, precisa che, ai sensi dell’art. 46 delle 31/2008, l’ attività lavorativa svolta con finalità terapeutiche dagli inabili, con orari inferiori a 25 ore settimanali e presso specifiche categorie di datori di lavoro, non preclude il conseguimento della pensione di reversibilità, aggiungendo che questa è la condizione in cui egli versava negli anni 2014 e 2016, avendo prestato attività lavorativa con contratto a termine a tempo parziale dal 18.7.2014 al 31.8.2014, dall’1.7.2016 al 31.8.2016 e dall’1.9.2016 al 14.9.2016, in forza delle disposizioni di cui alla legge n. 68/99, con guadagno meramente simbolico.
La Corte ritiene l’appello fondato.
Ai sensi dell’art. 8 comma 1 della legge n. 222/84, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità “…si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.”
Il ricorrente è stato riconosciuto dalla Commissione Medica INVALIDO con TOTALE e permanente inabilità lavorativa: 100% art.2 e 12 L.118/71 con diagnosi: “Esiti di idrocefalo derivato (Sindrome di Dandy-Walker), paresi spatica arto inferiore dx, Ritardo mentale lieve. Deficit visivo con visus 1/50 OD e 10/10 OS.”
Il CTU nominato in primo grado ha sostanzialmente confermato le valutazioni della Commissione Medica, riconoscendo che il periziato era affetto da Sindrome di Dandy Walker con malformazione di Arnold Chiari I, ritardo mentale, epilessia generalizzata, grave deficit bilaterale del visus con visus spento in OD.
Tuttavia, dando atto che al dato dell’invalidità assoluta si contrapponevano “… attestazioni di natura previdenziale che indicano come il ricorrente, nel 2014 e nel 2016, abbia prodotto lavoro retribuito attraverso assunzioni mediate dai benefici della L.68/99 (c.d. legge sul collocamento privilegiato al lavoro per disabilità), che s tanno ad indicare come fosse intenzione del ricorrente svolgere lavoro retribuito…” l’esperto concludeva nel senso che il periziato “…non presentasse una assoluta incapacità lavorativa, e che pertanto allo stesso non competesse la pensione indiretta quale figlio maggiorenne inabile di lavoratore non pensionato”.
A seguito delle osservazioni della parte ricorrente, il CTU rimodulava le proprie conclusioni, osservando “…come la condizione patologica sofferta dal ricorrente rappresenti una condizione che limita estremamente la capacità di guadagno dello stesso, residuando un cascame di capacità lavorativa generica che difficilmente potrà portare allo svolgimento di attività professionale adeguatamente remunerativa e di ordinaria esecuzione, così come specificatamente previsto dall’art. 46 della L.31/2008”.
Il primo Giudice rigettava la domanda proprio sulla base di quanto accertato in fatto dal CTU, ossia l’avvenuta prestazione di attività lavorativa negli anni 2014 e 2016, che sarebbe contraddittoria rispetto alla tesi dell’inabilità al lavoro, senza operare alcuna valutazione concreta né sulle condizioni di salute del ricorrente, e neppure sulle peculiarità dell’attività lavorativa dallo stesso prestata, sebbene entrambi gli aspetti fossero stati sottoposti al suo esame.
Non è stato tenuto in considerazione che il ricorrente, a causa delle patologie da cui era affetto (Esiti di idrocefalo derivato (Sindrome di Dandy -Walker), paresi spatica arto inferiore dx, Ritardo mentale lieve. Deficit visivo con visus 1/50 OD e 10/10 OS.”) , era stato dichiarato invalido al 100% fin dal 2010 dalla Commissione Medica INPS, con giudizio per nulla sconfessato dal CTU in primo grado, che invece aveva escluso l’inabilità al lavoro soltanto sulla base del dato di fatto che aveva prestato attività lavorativa begli anni 2014 e 2016.
L’art. 8 della l. n. 222 del 1984 , attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della pensione di inabilità e delle altre prestazioni contemplate dalla norma, nonché della pensione di riversibilità prevista dagli artt. 21 e 22 della l. n. 903 del 1965, al criterio oggettivo della “assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”, nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità, ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto ( Cassazione civile sez. lav., 09/04/2018, n.8678).
La valutazione delle condizioni sanitarie assume valenza preponderante ai fini dell’accertamento dell’inabilità al lavoro, sicché – in presenza di una invalidità al 100% – l’eventuale sussistenza di una residua capacità di lavoro deve essere basata su dati clinici, e non sull’acritica constatazione che il soggetto abbia svolto attività lavorativa.
Ciò vale soprattutto quando detta prestazione lavorativa sia stata resa ai sensi dell’art. 8 comma 1 -bis della citata legge n. 222/84, secondo cui “l’attività svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, secondo la definizione di cui al comma 1 con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o presso datori di lavoro che assumono i predetti soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa, di cui all’ articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68 , con contratti di formazione e lavoro, con contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata non preclude il conseguimento delle prestazioni di cui al citato articolo 2 2, comma 1, della legge 21 luglio 1965, n. 903 (n.d.e. quest’ultima norma è quella che ha sostituito l’art. 13 RDL 636/39).
Ebbene, in applicazione di tali principi, non è corretta l’esclusione del primo Giudice dalla prestazione previdenziale cui il ricorrente ha diritto.
Pertanto, l’appello viene accolto e viene riconosciuto in capo al ricorrente il diritto alla pensione indiretta a far data dal primo giorno del mese successivo al decesso del padre.
Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e vengono poste in capo all’Inps.
Avv. Emanuela Foligno
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