Respinto il ricorso di un uomo, condannato per istigazione alla corruzione, che contestava la ritenuta serietà e idoneità dell’offerta da parte dei Giudici del merito

Per l’integrazione del reato di istigazione alla corruzione è sufficiente la semplice offerta o promessa, purché sia caratterizzata da adeguata serietà e sia in grado di turbare psicologicamente il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), sì che sorga il pericolo che lo stesso accetti l’offerta o la promessa. Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4873/2020 pronunciandosi sul ricorso presentato da un uomo che era stato condannato, in sede di merito, a tre anni di reclusione per la condotta in questione ai sensi dell’articolo n. 322 del codice penale, con riferimento all’art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio).

L’imputato denunciava vizio di violazione di legge e di motivazione per la ritenuta serietà e idoneità dell’offerta formulata dall’imputato ad integrare la condotta.

Ma per i Giudici Ermellini, la Corte d’appello aveva del tutto logicamente ritenuto comprovata la serietà dell’offerta, ragguagliata alle concrete modalità del fatto tanto che l’imputato era arrivato a “sfilarsi gli anelli in oro che indossava e a consegnarli agli agenti modificando, a fronte del diniego oppostogli in prima battuta, la intrapresa strategia corruttiva”.

L’uomo, inoltre, nel ricorrere per cassazione aveva lamentato vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione, da parte del Giudice di secondo grado, delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62 bis del codice penale. Anche in questo caso, la doglianza dell’imputato è stata respinta sulla base della considerazione che la Corte distrettuale, nell’esercizio del potere discrezionale rimessogli in materia, aveva compiutamente giustificato la mancata concessione richiamando i precedenti penali dell’appellante quale indice rivelatore di un negativo giudizio sulla personalità.

In definitiva, quindi, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

La redazione giuridica

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