Lesioni di lieve entità e risarcimento per danno biologico permanente

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La paziente lamenta la responsabilità della Odontoiatra che causava trauma al ramo terminale della branca mandibolare del nervo trigemino di destra, con disturbi al labbro e lieve disfunzione masticatoria e vocale. L’Appello ribadisce che le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo ovvero visivo non possono dar luogo al risarcimento per danno biologico permanente. La Cassazione conferma (Corte di Cassazione, III civile, 5 novembre 2024, n. 28496).

La vicenda

La paziente conveniva in giudizio la sua odontoiatra chiedendone la condanna al risarcimento in conseguenza della errata esecuzione di un intervento di impiantologia con perno moncone del secondo premolare inferiore destro. Questo le aveva causato per imperizia un trauma al ramo terminale della branca mandibolare del nervo trigemino di destra, con disturbi al labbro e lieve disfunzione masticatoria e vocale, lamentando un danno biologico del 3/4% e la necessità di sostenere spese future per la sostituzione dell’impianto.

La domanda risarcitoria veniva rigettata sia in primo che in secondo grado, sebbene con diversa motivazione.

La Corte d’appello ha precisato che, avendo l’appellante chiesto il risarcimento del danno per lesioni micropermanenti, dovevano applicarsi i criteri di cui all’articolo 139 CdA, disposizione applicabile anche ai processi in corso. Dà atto quindi che in ogni caso le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo ovvero visivo non possono dar luogo al risarcimento per danno biologico permanente. Con questo ragionamento esclude la risarcibilità del danno biologico, stante l’impossibilità di riscontro della lamentata patologia.

La Corte ha negato alla donna anche la risarcibilità del danno biologico di natura temporanea stante la mancata allegazione di circostanze utili alla verifica della incapacità transitoria di attendere anche solo parzialmente alle attività della vita quotidiana in conseguenza del disturbo lamentato dall’appellante.

La Corte di Cassazione viene interessata della questione dietro la lamentata errata applicazione dell’art- 7 Legge Gelli, e di conseguenza il rinvio all’articolo 139 CdA. Aggiunge la paziente che le norme richiamate erano prive di efficacia retroattiva e non potevano quindi applicarsi al caso di specie, i cui fatti risalgono al 2006. La errata applicazione delle norme testé indicate avrebbe, secondo la paziente, determinato una inversione dell’onere probatorio.

L’intervento della Cassazione

La doglianza non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata (Corte di Cassazione, III civile, 5 novembre 2024, n. 28496). I Giudici di secondo grado hanno confermato il rigetto della domanda risarcitoria perché non è stata fornita idonea prova del danno, né permanente e neppure di quello temporaneo, non avendo provato che l’infiammazione alla gengiva e al labbro le avrebbe impedito, neppure in parte, di attendere alle sue abituali occupazioni.

Quanto deciso è conforme ai principi secondo i quali “In tema di risarcimento del danno alla salute conseguente ad attività sanitaria, la norma contenuta nell’art. 3, comma 3, del D.L. n. 158 del 2012 (convertito dalla L. n. 189 del 2012) e sostanzialmente riprodotta nell’art. 7, comma 4, della L. n. 24 del 2017 – la quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private) – trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul “quantum”).
In quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l’ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno”.

Lesioni di lieve entità

Ciò detto, sempre secondo la paziente, la Corte di merito avrebbe escluso il risarcimento richiamando l’articolo 139 del Codice delle Assicurazioni sull’ erroneo presupposto che fosse necessario per il riconoscimento del diritto al risarcimento in caso di danno alla persona con esiti micropermanenti l’esistenza di un accertamento strumentale mentre è sufficiente un accertamento obiettivo, in qualsiasi modo questo avvenga (n. 3477 del 2022).

Anche questo ragionamento non coglie la ratio decidendi: la sentenza impugnata precisa che ai fini dell’accertamento di una micropermanente non è necessario un accertamento strumentale ma è sufficiente che l’alterazione risulti ad un serio esame obiettivo, ma al contempo esclude, sulla base appunto dell’esame obiettivo eseguito dal CTU, e della stessa dichiarazione di remissione resa dalla paziente, la sussistenza di prova di un danno micropermanente.

Sul punto la Cassazione ribadisce che in tema di risarcimento del danno da cd. micropermanente, i criteri scientifici di accertamento e di valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (visivo, clinico e strumentale) non sono tra loro gerarchicamente ordinati, ma vanno utilizzati dal medico legale nella prospettiva di una obiettività dell’accertamento, che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi, con la conseguenza che ad impedire il risarcimento del danno non è di per sé l’assenza di riscontri diagnostici strumentali ma piuttosto l’assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza, che può essere compiuta in base a qualunque elemento probatorio anche indiziario.

La prova della lesione non può essere solo un referto strumentale

La prova della lesione e del postumo non deve essere data esclusivamente con un referto strumentale poiché, in ogni caso, è l’accertamento medico legale corretto, riconosciuto dalla scienza medica, a stabilire se tale lesione sussista e quale percentuale del detto postumo sia ad essa ricollegabile, dovendosi tenere conto, però, che possono esservi situazioni nelle quali solo il menzionato accertamento strumentale è idoneo a fornire la dimostrazione richiesta dalla legge.

In altri termini, i giudici hanno rigettato la domanda della paziente non perché mancasse l’accertamento strumentale, ma perché si è esclusa, sulla base dell’esame obiettivo, l’esistenza di un danno permanente ed anche di una invalidità temporanea ancorché parziale.

Avv. Emanuela Foligno

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