Entrambi i gradi di merito assolvono i medici imputati di avere cagionato a causa della mancata applicazione di sondino naso-gastrico il decesso della paziente che avevano avuto in cura presso il P.S. e la Chirurgia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. La Corte di Cassazione conferma (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 4 dicembre 2024, n. 44317).
I fatti
In particolare, alla dottoressa P. era stato contestato, in qualità di medico del Pronto Soccorso, che aveva preso in cura la paziente dalle ore 14 alle ore 17,15 del 5 giugno 2012 (dopo che il giorno precedente la paziente, visitata da altro medico, per cui si era proceduto separatamente, non aveva accettato il ricovero), di non aver applicato un sondino gastrico volto ad aspirare il materiale liquido gassoso ristagnante nel tubo gastroenterico e a decomprimere l’intestino, così causando un ulteriore peggioramento del quadro occlusivo intestinale di cui la paziente soffriva.
Al dottor N., in qualità di medico del Reparto di Chirurgia d’urgenza ove la paziente veniva ricoverata dalle 17,15 dello stesso giorno alle ore 21, era stato contestato di aver omesso di applicare un sondino naso-gastrico con le medesime finalità di cui sopra e così causando un ulteriore peggioramento del quadro occlusivo che concatenandosi con le pregresse rendeva necessario ricorrere ad intervento chirurgico.
Infine, alla dottoressa A.F.C.I., in qualità di medico anestesista dell’equipe incaricata di effettuare l’intervento chirurgico, dopo le ore 21 del 5 giugno 2012, era stato contestato, pur avendo correttamente posizionato il sondino naso-gastrico, di non essersi accertata che il tubo gastroenterico si fosse svuotato completamente, proseguendo erroneamente nelle procedure routinarie prodromiche all’intervento chirurgico.
Tre medici accusati in cooperazione colposa del decesso della paziente
A tutti e 3 i medici era stato quindi contestato in cooperazione colposa tra di loro, di aver cagionato la morte della paziente, la quale, nel momento in cui veniva indotta l’anestesia, vomitava circa quattro litri di materiale simil-fecaloide (accumulatosi a causa della pregressa mancata applicazione del sondino naso-gastrico) che, non essendo la paziente ancora stata intubata, la medesima inalava nell’albero respiratorio, trovando la morte per insufficienza respiratoria acuta, anche a causa dell’ulteriore condotta colposa della dottoressa A., consistita nell’omettere, alla comparsa del vomito, di applicare le corrette procedure ed avendo, invece, praticato un lavaggio brachiale (seguito da bronco aspirazione) subito dopo aver intubato la paziente, con conseguente diffusione del materiale gastro enterico a tutto l’ambito broncopolmonare fino alle estreme diramazioni e di aver tenuto la paziente con il capo rialzato rispetto al bacino e agli arti inferiori, ostacolando così l’eliminazione del materiale gastroenterico dalle vie respiratorie.
Le cause della morte
Riguardo la causa di morte della paziente, la Corte di appello ha affermato non essere state raggiunte certezze, dovendosi escludere che tale causa fosse l’occlusione intestinale in sé, atteso che, in sede di autopsia, non erano stati evidenziati processi di infezione all’intestino, mentre era evidente l’infezione massiva ed acuta polmonare, evenienza che aveva fatto propendere i consulenti del P.M., ma anche i consulenti degli imputati P. e N., per la tesi della polmonite ab ingestis, evitabile laddove la paziente fosse stata sottoposta fin dal ricovero del 5 giugno 2012 all’applicazione di un sondino naso-gastrico che avrebbe assicurato lo svuotamento dello stomaco ed evitato che il materiale gastro enterico penetrasse nelle vie aeree e quindi nei polmoni in fase pre e peri operatoria a causa delle manovre imperite della anestesista .
Quanto, alla posizione della dottoressa A. (anestesista), la Corte territoriale ha condiviso la motivazione del Tribunale, sostanzialmente, in quanto la contestazione di non aver atteso lo svuotamento dello stomaco e dell’intestino era errata, posto che il sondino era volto allo svuotamento dello stomaco e non dell’intestino e gli oltre due litri di materiale enterico espulsi inducevano a ritenere che, al momento della induzione, effettivamente lo stomaco fosse svuotato; inoltre, non vi era alcuna prova dell’erroneità delle operazioni di intubazione, o che la stesa tecnica fosse sconsigliata dalla comunità scientifica. Neppure vi era prova della erroneità delle operazioni di lavaggio bronchiale eseguita dalla anestesista in assenza di tracce di residui enterici o di batteri negli alveoli.
Il peggioramento della paziente era avvenuto durante il ricovero in chirurgia
Riguardo agli altri 2 medici, la Corte di appello ha condiviso la decisione del Tribunale poiché il primo non aveva avuto in cura la paziente tra le 17.15 e le 21 ed aveva immediatamente disposto il ricovero presso il reparto di chirurgia, avvenuto nel giro di pochi minuti. Lo stesso aveva effettuato una corretta diagnosi di occlusione intestinale sulla base della RX addome effettuata poco prima e non poteva ravvisarsi colpa, né nesso causale tra il decesso e la mancata applicazione del sondino naso-gastrico, attesa l’assenza di criticità tali da consigliarne l’uso.
Il peggioramento era avvenuto durante il ricovero in chirurgia. Peraltro, la certezza sulla causa della morte non era stata raggiunta con riguardo all’operato del medico del reparto di chirurgia, perché la traslocazione batterica dall’intestino ai polmoni visibile anche nelle fasi precedenti l’intervento, non era risultata pienamente provata per l’assenza di flogosi nell’intestino e dunque il dato era insufficiente a fondare giudizio di colpevolezza. Dunque, anche quanto alla posizione del chirurgo, doveva ritenersi l’assenza di responsabilità, per la mancata applicazione del sondino naso-gastrico, in assenza dei presupposti indicati richiesti dalla letteratura scientifica e dai protocolli terapeutici degli ospedali italiani.
La Corte di Cassazione conferma il secondo grado.
Viene, innanzitutto, ricordato che lo standard probatorio richiesto nel caso di ribaltamento delle pronunce rese in un precedente grado del giudizio diverge a seconda che si tratti di condanna o di assoluzione, e che, nel secondo caso, deve essere, se possibile, ancora più elevato che nel primo: soprattutto quando si tratti di c.d. “doppia conforme” assolutoria, perché in tal caso si esige un rigore affatto particolare nell’analitica confutazione di ogni elemento, di fatto e di diritto, su cui si è basata la decisione.
Riguardo il nesso di causa, occorre distinguere il ragionamento esplicativo dal ragionamento controfattuale.
Il primo, tenta di spiegare le cause di un accadimento e di individuare i fattori che lo hanno generato sulla base di giudizi causali retti da leggi scientifiche che esprimano una certa correlazione causale tra una categoria di condizioni e una categoria di eventi realmente verificatisi. Il secondo può fornire con ragionevole approssimazione la spiegazione di un determinato evento effettivamente verificatosi quale effetto di un determinato fattore eziologico.
Il Giudice di merito, con riguardo al ragionamento esplicativo, valuta con rigore le prove per stabilire se esse corroborino l’ipotesi accusatoria circa la relazione tra una determinata condotta umana e l’evento verificatosi alla luce di una legge naturale, ove disponibile, o alla luce di regolarità statistiche o di generalizzazioni probabilistiche, secondo un significato frequentista, fornite dagli studi del settore di riferimento. Il giudizio controfattuale (giudizio implicativo o predittivo) trova il suo terreno nel ragionamento causale in tema di reato omissivo, ma non si tratta di un ambito esclusivo in quanto tale iter logico viene seguito anche in caso di reati commissivi ancorché non si renda necessario esprimerle nella motivazione. Si tratta di un ragionamento che implica un ulteriore tipo di indagine, avente ad oggetto la prognosi postuma di cosa sarebbe accaduto ove la condotta omessa fosse stata realizzata.
Ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica
In sostanza, ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica, o l’evidenza del probabile dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione, da parte del Giudice, delle evidenze disponibili.
Al riguardo la Cassazione dà continuità al principio secondo cui in tema di nesso di causalità “il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, o, in ipotesi di condotta commissiva, l’assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l’evento (c.d. giudizio predittivo) richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta”.
Avv. Emanuela Foligno