L’automobilista era accusato di aver provocato il decesso di una donna, investita a seguito di una manovra di retromarcia pericolosa

Con la sentenza n. 25741/2021, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un automobilista condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 589 cod. pen. per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, ed in violazione dell’art. 154 C.d.S., perché effettuava una manovra in retromarcia pericolosa, senza assicurarsi di non poter mettere a repentaglio la sicurezza di altri utenti della strada, così cagionando la morte di una donna, investendola alla guida della propria autovettura, quindi trascinandola al di sotto dell’autovettura e provocandole, in tal modo, trauma cranico fratturativo, trauma fratturativo polmonare e trauma fratturativo addominale con rottura del fegato, da cui derivava il decesso.

Secondo quanto accertato in sede di merito, in ragione dell’altezza del mezzo e della posizione in salita della strada, il conducente effettuava la manovra in retromarcia in condizione di visibilità limitata e, perciò, senza avvedersi della presenza del pedone. Il giudice di primo grado, pertanto, individuava un profilo di colpa dell’imputato nell’aver effettuato la manovra in retromarcia, senza assicurarsi che dalla stessa non derivasse un pericolo agli altri utenti della strada.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione allo schizzo planimetrico redatto dai Carabinieri e ai risultati dell’esame autoptico. A suo avviso la sentenza impugnata contrastava con le risultanze dei rilievi eseguiti e con i successivi riscontri autoptici. Lo schizzo planimetrico redatto, in particolare, raffigurava la donna riversa a terra col capo a monte, posizione assolutamente incompatibile con un urto inferto alla donna dall’auto in manovra di retromarcia. In tal caso, infatti, la donna sarebbe stata logicamente proiettata all’indietro e la testa della vittima si sarebbe dovuta trovare a valle. Inoltre, dalla natura delle lesioni riscontrate in sede di autopsia doveva presumersi che la donna non fosse stata colpita dall’auto in manovra di retromarcia, ma che fosse caduta a terra perché colta da malore stante l’età avanzata (novanta anni). In tal caso, tenuto conto dell’elevata pendenza della strada e della minuta statura della vittima, l’automobilista non avrebbe potuto avvistarla. Peraltro, se colpita dall’auto, si sarebbero dovute necessariamente riscontrare fratture alle gambe o comunque vistose ecchimosi, che invece non erano presenti. Le fratture e le ecchimosi erano conseguenti al trascinamento del corpo quando già si trovava a terra sotto l’auto.

Gli Ermellini hanno ritenuto le doglianze proposte manifestamente infondate.

La Cassazione ha premesso che, in tema di colpa nella circolazione stradale, la manovra di retromarcia va eseguita con estrema cautela, lentamente e con il completo controllo dello spazio retrostante; ne consegue che il conducente, qualora si renda conto di avere alle spalle una strada che non rende percepibile l’eventuale presenza di un pedone, se non può fare a meno di effettuare la manovra, ha l’obbligo di controllare la strada, eventualmente ricorrendo alla collaborazione di terzi per consentirgli di fare retromarcia senza alcun pericolo per gli altri utenti della strada.

I giudici di merito avevano fatto buon governo di tale principio. Dal puntuale contenuto delle sentenze dei gradi precedenti, infatti, era emerso che l’imputato aveva imprudentemente posto in essere una manovra di retromarcia, uscendo da una strada privata in direzione di una pubblica via senza previamente assicurarsi di non creare pericolo ad altri utenti della strada, così cagionando la morte della vittima. In particolare, nella sentenza di primo grado la dinamica del sinistro era descritta sulla base delle indicazioni di una teste che aveva notato l’auto procedere a marcia indietro e aveva visto improvvisamente il bastone ed una scarpa della donna in mezzo alla strada, per cui aveva gridato verso il conducente, intimandogli di fermarsi, avendo compreso che aveva investito una persona; la teste confermava che la strada in discesa si sviluppava formando una curva. Ebbene, tenuto conto dell’età della vittima, il suo avvicinamento al veicolo durante la manovra era stato verosimilmente graduale e sarebbe stato, dunque, percepibile dall’imputato ove avesse osservato le cautele prescritte dall’art. 154 C.d.S., effettuando la manovra con gradualità e lentezza, accertandosi preventivamente della totale assenza di ostacoli e di pedoni.

Difatti, in tema di reato colposo, poiché il conducente di un veicolo in retromarcia ha l’obbligo fondamentale di controllare direttamente o a mezzo di altra persona il tratto di strada da percorrere in tale direzione, a nulla rileva, se a ciò non adempie, che nessuno abbia notato sulla traiettoria del veicolo stesso la presenza di un soggetto, poi rimasto vittima, o non abbia notato alcunché che lo potesse indurre a ritenere probabile quella presenza.

Proprio la condizione di elevata pendenza della strada ricordata dal ricorrente avrebbe dovuto indurre l’automobilista ad adottare una maggiore precauzione, rallentando ulteriormente, chiedendo l’aiuto di altre persone prima di procedere o invertendo il senso di marcia (manovra possibile in quel settore). L’indicazione del ricorrente secondo cui le fratture alle gambe o le vistose ecchimosi derivavano dal trascinamento del corpo non incideva sull’attribuibilità del fatto all’imputato. Le diverse ipotesi ricostruttive formulate dalla difesa si basavano su presunte risultanze emergenti dallo schizzo planimetrico e dal referto autoptico, ma tali atti non erano stati allegati al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza.

La redazione giuridica

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