Respinta la domanda di un lavoratore volta a vedersi riconoscere i danni derivanti dall’adibizione, da parte della datrice, a mansioni incompatibili con la propria condizione di disabilità

Aveva agito in giudizio al fine di vedere condannata la Società datrice al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’adibizione a mansioni incompatibili con la propria condizione di disabilità nonché all’emanazione di un provvedimento organizzativo che ne consentisse la ricollocazione in una posizione lavorativa idonea e dignitosa.

I Giudici del merito avevano riconosciuto congrua la posizione di “operatore attività ausiliarie sviluppo colore” assegnata al lavoratore ove svolta con l’uso di opportuni dispositivi di protezione individuale, segnatamente dei guanti ad alto scorrimento.

Il ricorrente, nel rivolgersi alla Cassazione, contestava alla Corte territoriale di aver “disatteso la regola che assume derivare dalla disciplina posta a tutela del lavoro degli invalidi, nella specie data ratione temporis dall’invocata legge n. 482/1968, che impone all’impresa l’inserzione dell’invalido in mansioni non operative, onerando l’impresa stessa della prova dell’impossibilità di adeguarsi ad essa e l’essere incorsa, altresì, nel gravare il ricorrente dell’onere di indicare le posizioni di lavoro disponibili che sarebbero risultate rispettose dell’obbligo prospettato a carico della Società datrice e facendone discendere, in difetto di tale allegazione, l’inammissibilità della pretesa, nel malgoverno della regola sulla distribuzione degli oneri probatori”.

Il lavoratore eccepiva, inoltre, che il Collegio distrettuale avesse erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno motivato dal “difetto di condotte illegittime, causative del medesimo e ciò sulla base del rilievo per cui tutte le mansioni affidate al ricorrente, siccome ontologicamente diverse e contrastanti con le mansioni ‘sedentarie’ all’invalido riservate per legge, dovrebbero considerarsi illegittime ed espressione di un diffuso inadempimento del datore”.

I Giudici Ermellini, tuttavia, con l’ordinanza n. 27556/2020 hanno ritenuto infondate le doglianze proposte. Le deduzioni del ricorrente, infatti, erano smentite dalla stessa previsione invocata, l’art. 20 L. n. 482/1968, secondo cui “è in facoltà al datore di adibire il prestatore invalido a mansioni diverse da quelle per le quali fu assunto purché compatibili con le condizioni di salute dell’invalido, previsione che legittima le scelte procedurali dei giudici del merito quanto all’accertamento compiuto, incentrato sulla compatibilità delle mansioni offerte con lo stato di invalidità, emersa con chiarezza dall’espletata CTU, legittimazione da cui discende la correttezza della gestione dell’onere probatorio, posto sotto tale profilo a carico della Società datrice, della valutazione circa l’inconfigurabilità di condotte illegittime della Società, della qualificazione in termini di inammissibilità della pretesa all’assegnazione a mansioni diverse a fronte della mancata contestazione della compatibilità di quelle offerte”.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile e vuoi ottenere, in breve tempo, il riconoscimento dei tuoi diritti? Scrivici per una consulenza gratuita di procedibilità a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Ernie e protrusioni discali lombo sacrali da malattia professionale

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui