Mobbing e il risarcimento del danno non patrimoniale

0
mobbing-risarcimento-danni-non-patrimoniali

Il Tribunale di Enna riconosce al lavoratore il risarcimento del danno per mobbing, invece la Corte di Appello sovverte totalmente la domanda. Secondo la Suprema Corte (Cassazione Civile, sez. lav., 12/02/2024, n.3856), i giudici di Appello hanno sbagliato.

I fatti

Il lavoratore, Comandante della Polizia Municipale, presentava domanda per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di comportamenti persecutori tendenti al demansionamento adottati nei suoi confronti dal Comune di Catenanuova.

Il Tribunale di Enna accoglie la domanda, ma la Corte di Appello riforma la decisione dei giudici di primo grado.

Il ricorso in Cassazione

Il Comandante ricorre in Cassazione lamentando che la Corte territoriale abbia disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello o, in subordine, di passaggio in giudicato di un capo non impugnato della sentenza di primo grado, con riguardo alla condanna del Comune di Catenanuova al risarcimento del danno patrimoniale da illegittima dequalificazione professionale.
In tal senso i Giudici di Appello ritenevano che nella sentenza di primo grado, “le… domande in punto di risarcimento di danno da dequalificazione dovevano intendersi implicitamente rigettate … avendo trovato accoglimento solo quelle relative ai danni, morali o alla salute, patiti a causa delle denunciate condotte mobbizzanti ovvero, alternativamente, costituenti inadempimento all’obbligo di adozione delle misure di protezione ex art. 2087 c.c.”.

La doglianza coglie nel segno

Correttamente la Corte territoriale ha escluso l’inammissibilità dell’appello, perché non si prospetta che il Tribunale di Enna avesse adottato un’unica decisione, sorretta da due autonome rationes decidendi, cosicché l’impugnazione limitata a una sola ratio sarebbe inammissibile, in quanto inidonea a scalfire la correttezza della decisione, saldamente fondata anche sull’altra ratio (Cass. S.U. n. 7931/2013; conformi, ex multis, Cass. nn. 4293/2016 e 16314/2019).

Danno patrimoniale e danno non patrimoniale

Ciò che il lavoratore prospetta è, invece, che il Giudice di primo grado abbia deciso su due distinte domande, accogliendole entrambe, una relativa al danno patrimoniale da dequalificazione professionale, l’altra relativa al danno non patrimoniale da mobbing. A tale premessa il ricorrente aggiunge il rilievo che la decisione sulla prima domanda non era stata fatta oggetto di alcuna censura nell’atto d’appello del Comune di Catenanuova.

Questa affermazione è tuttavia smentita dalla sentenza di primo grado. Il dispositivo del Tribunale contiene una duplice condanna al risarcimento: una riferita al “danno non patrimoniale” e una al “danno patrimoniale”. Quest’ultimo, nella motivazione, è chiaramente riferito all’accertamento di “comportamenti illegittimi … concretamente idonei a ledere la sfera professionale” del lavoratore, relegato “ad un ruolo secondario nell’ambito della polizia municipale”.

Ma le due domande si distinguono per il differente petitum e non c’è dubbio che il Tribunale le aveva accolte entrambe, in particolare distinguendo la condanna al risarcimento del danno patrimoniale, da illegittima dequalificazione professionale, e la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, da lesione dell’integrità psicofisica.

La contraddizione della Corte d’Appello

La sentenza della Corte d’Appello cade in contraddizione laddove, riconoscendo che erano state proposte più domande, afferma che in primo grado avrebbero “trovato accoglimento solo quelle relative ai danni, morali o alla salute”, pur avendo riportato per esteso il ben diverso tenore del dispositivo della sentenza del Tribunale.

Ha errato, pertanto, la Corte d’Appello a non prendere nella dovuta considerazione l’eccezione del lavoratore nella parte in cui era volta a rilevare che una delle due condanne pronunciate in primo grado nei confronti del Comune di Catenanuova non era stata fatto oggetto di alcuna specifica critica nell’atto d’appello, dal che avrebbe dovuto trarre le dovute conseguenze, in termini di parziale passaggio in giudicato della sentenza impugnata relativo all’an debeatur.

Ebbene, il passaggio in giudicato è relativo soltanto all’an debeatur, posto che nella sentenza si dà atto che il Comune di Catenanuova aveva svolto un secondo motivo d’appello per censurare la “liquidazione del danno, sia patrimoniale che non patrimoniale”. Motivo rimasto “assorbito nell’accoglimento della prima doglianza”, ma che dovrà essere riesaminato dal Giudice del rinvio.

Mobbing e straining

Infine, anche le due censure inerenti l’accertamento negativo dei presupposti del mobbing e l’omessa considerazione di ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per avere adottato condizioni lavorative stressogene (straining), anche a prescindere dalla sussistenza di tutti i connotati identificativi del mobbing, sono parzialmente fondate.

Nella sentenza di Appello è stato motivata in modo non censurabile l’esclusione dell’intento persecutorio all’origine dei comportamenti addebitati al datore di lavoro. Discorso diverso va svolto con riguardo all’esclusione della responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell‘art. 2087 c.c. e alla relativa motivazione.

Pacifico che il datore di lavoro non debba consentire il mantenimento di un ambiente lavorativo stressogeno perché fonte di danno alla salute dei lavoratori, la responsabilità del datore di lavoro per il pregiudizio all’integrità fisica e alla personalità morale dei prestatori di lavoro copre un ambito ben più ampio rispetto alla specifica ipotesi del mobbing, che presuppone la reiterazione di molteplici comportamenti e, soprattutto, un preordinato intento persecutorio quale origine comune di quei comportamenti.

Nessun consulente tecnico ma solo il sito della Treccani

La Corte d’Appello ha dimostrato di avere ben presente tale differenza tra le due fattispecie di responsabilità, tuttavia, è caduta in una palese contraddizione, laddove ha affermato, da un lato, di essere “in presenza di una condotta astrattamente idonea a integrare la fattispecie ex art. 2087 c.c.”, ma ha negato, dall’altro lato, “la prova dell’esistenza di una patologia suscettibile di produrre un danno all’integrità psico-fisica dell’appellato” sulla base di nozioni di medicina tratte dalla pagina di sito internet della Treccani e “senza necessità di ricorrere alla scienza di un qualificato consulente tecnico medico-legale”.

Paradossalmente la Corte d’Appello ha criticato il primo Giudice per essersi convinto della sussistenza di un pregiudizio alla salute sulla base dell’esame diretto della documentazione medica e della consulenza di parte prodotte dal ricorrente, ma è poi caduta nel medesimo errore (uguale e contrario), negando quel danno sempre sulla base del solo esame diretto, e atecnico, di quella stessa documentazione.

In definitiva, la sentenza impugnata viene cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta in diversa composizione, perché decida tenendo conto del giudicato formatosi sull’an debeatur, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale da dequalificazione professionale (impregiudicato il motivo d’appello sul quantum debeatur), e svolgendo gli accertamenti tecnici necessari per esprimere una motivata decisione sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da violazione degli obblighi di tutela imposti al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui