La Corte d’Appello di Lecce ha accolto la richiesta di una madre di sospendere gli incontri delle figlie con il padre, considerato l’espresso e consapevole rifiuto di queste ultime di incontrarlo

A sostegno della propria decisione la corte pugliese ha affermato che “i rapporti affettivi non possono essere imposti per legge e con provvedimenti giudiziari”.

La vicenda

Dopo aver pronunciato la separazione personale dei coniugi, con addebito a carico del marito per violazione dell’obbligo di fedeltà, il tribunale di Taranto ordinò l’affidamento condiviso delle due figlie minori collocandole presso la madre, cui assegnò in godimento l’ex casa coniugale.

Con lo stesso provvedimento il giudice pugliese regolamentò il diritto di visita del padre nei confronti delle minori e pose a carico di quest’ultimo l’obbligo di versare alla moglie un assegno mensile di 1.200,00 euro, di cui 400,00 euro per il suo mantenimento e 400,00 euro per il mantenimento di ciascuna delle figlie.

Contro tale pronuncia l’ex coniuge ha proposto ricorso alla Corte d’Appello di Lecce, lamentando l’erronea attribuzione della causa della separazione alla sua relazione extraconiugale, la quale a sua detta sarebbe stata successiva alla rottura della loro unione coniugale. L’intollerabilità della convivenza sarebbe invece, derivata dall’atteggiamento pregiudizievole della moglie che tentava progressivamente di allontanare le figlie dalla sua famiglia d’origine e dalla sua stessa persona.

Il processo d’appello

Ma il motivo non è stato accolto. Nel corso del giudizio di merito era stato accertato che l’allontanamento dalla casa coniugale da parte del ricorrente fosse stato repentino ed improvviso, “visto che appena qualche settimana prima i coniugi erano assieme in un centro benessere a festeggiare il loro anniversario di matrimonio”. E proprio tale repentinità ha indotto i giudici della corte leccese a considerarla quale unica causa della rottura e della intollerabilità della convivenza coniugale.

Tale conclusione era stata confermata dalla relazione investigativa che comprovava l’adulterio e lo collocava in un periodo temporale antecedente alla rottura della loro convivenza. Per queste ragioni è stata confermata la pronuncia di addebito della separazione a carico del marito.

Per altro verso i giudici della Corte d’Appello hanno accolto l’istanza dell’ex moglie di sospendere il diritto di visita delle figlie minori da parte dell’altro coniuge non affidatario.

A detta della donna il Tribunale di Taranto non avrebbe dovuto “obbligare” le minori agli “incontri genitoriali”, le quali in tal modo si sarebbero sentite “ancor più autorizzate ad esprimere i loro sentimenti di rifiuto, di rancore e di attacco alla figura paterna e gli incontri sarebbero stati a suo dire pregiudizievoli per le figlie”.

Il motivo è stato ritenuto condivisibile.

«Le figlie minori – ha dichiarato la corte pugliese – hanno un’età (diciassette e dodici anni) che consente loro di discernere e di essere consapevoli dei loro sentimenti e hanno in tutto il corso del processo manifestato espressamente e con convinzione di non volere incontrare il padre”. Lo avevano fatto dinanzi alla dottoressa incaricata dal Presidente del Tribunale di accertare le ragioni del conflitto con il padre; lo avevano fatto anche durante l’ascolto ad opera del giudice istruttore: in tale occasione la tredicenne aveva riferito degli atteggiamenti tenuti dal padre in occasione di alcuni incontri, come ad esempio la rottura del suo telefono cellulare al fine di impedirle di telefonare alla madre o, il rifiuto di riaccompagnarle a casa dalla madre quando piangenti chiedevano di andare via, o ancora, il rifiuto dello stesso, nei primi tempi della separazione di incontrare le figlie adducendo impegni di lavoro e, gli insulti rivolti agli amici della figlia maggiore davanti alla scuola. Di analogo tenore erano state le dichiarazioni dell’altra minore, la quale aveva riferito che il padre la costringeva a stare con lui con la forza e che, spesso, la “lasciava in una casa, forse dai nonni paterni” rientrando dopo tanto tempo.

Era evidente dunque, che il rifiuto di incontrare il padre da parte delle due minori fosse non soltanto pacifico e inequivocabile, ma altresì “consapevole e motivato con dovizie di particolari, a dimostrazione della consapevolezza piena dei propri sentimenti” nei confronti di quest’ultimo e del fatto che tutti gli incontri si erano conclusi con manifestazioni di astio e avversione verso la sua persona.

La decisione

Per tutte queste ragioni, la corte d’appello (senteza n. 507/2019)ha ritenuto preferibile sospendere gli incontri con il padre anche al fine di evitare la radicalizzazione dello scontro, nell’interesse delle minori e per evitare un più grave pregiudizio delle stesse.

Tale conclusione è condivisibile se si considera che con “la riforma del 2006 il legislatore ha inteso tutelare non tanto il “diritto di visita” dei genitori quanto il “diritto dei figli” ad avere rapporti con entrambi i genitori, posto che i rapporti affettivi non possono essere imposti per legge e con provvedimenti giudiziari”.

La redazione giuridica

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