Il Tribunale di Benevento accerta la responsabilità sanitaria dell’Ospedale S. Pio per la mancata stadiazione completa della neoplasia maligna della corda vocale e liquida oltre ottocento mila euro ai familiari del paziente. La Corte di appello, invece, rigetta integralmente la domanda risarcitoria. La Suprema Corte conferma la decisione di secondo grado (Cassazione, III civile, ordinanza 9 dicembre 2024, n. 31685).
La vicenda
Il decesso del paziente è avvenuto il 20 ottobre 2010 in esito a carcinoma laringeo (corda vocale dx), da ascriversi, secondo i congiunti, a responsabilità dei medici e dell’Ospedale di Benevento, per negligenza e imperizia nelle fasi diagnostica e post operatoria di detta patologia durante l’arco temporale dal 17 febbraio 2004 al 27 ottobre 2004.
La Corte di appello ha osservato che:
- a) l’otorinolaringoiatra in servizio presso l’Ospedale Rummo di Benevento visitava il paziente per la prima volta il 17 febbraio 2004 e, riscontrando un’infiltrazione della corda vocale destra, consigliava al paziente un “intervento di cordectomia dx in micro-laringoscopia, con impiego di laser, cui il paziente si sottoponeva il 25 febbraio 2004, con esito dell’esame istologico di “Carcinoma epidermoide scarsamente differenziato infiltrante”. Il medesimo medico visitava la vittima anche nelle settimane successive e il 5 maggio 2004 lo sottoponeva ad “intervento di asportazione della granulazione laringea”, con esito dell’esame istologico di “Tessuto di granulazione parzialmente rivestito da epitelio pavimentoso privo di atipie”. Visitava nuovamente il paziente il 24 maggio 2004, attestando “il buon esito dell’insieme dei due interventi, eseguiti nei precedenti mesi di febbraio e Maggio, e fissava un nuovo controllo a tre mesi”; visitava ancora il 27 ottobre 2004 e la relativa certificazione era del seguente tenore: “Si conferma il riscontro precedente. Controllo a febbraio”.
- b) il paziente non si sottoponeva “ad alcun controllo (né al febbraio 2005, né in seguito)” per diversi anni, sino all’accertamento ecografico del 21 maggio 2010, presso il centro Morrone, da cui emergeva “la presenza di varie formazioni in sede latero-cervicale dx”;
- c) la vittima si sottoponeva ad altra ecografia il 25 giugno 2010, presso il centro Ginolfi, con esito di “multiple tumefazioni linfonodali”.
- d) il 29 giugno 2010 il paziente veniva nuovamente visitato dal medesimo otorino, che consigliava l’esecuzione di “TAC-PET total body” ed esame citologico con ago aspirato, i suddetti esami venivano eseguiti il 5 luglio 2010ì.
- e) il paziente, sempre nel luglio 2010, veniva ricoverato presso l’Azienda Ospedaliera Monaldi di Napoli, ove gli era diagnosticato “carcinoma laringeo con metastasi ai linfonodi, laterocervicale dx e retro-nucali”, per poi essere ricoverato presso l’Istituto Nazionale per i Tumori “Pascale” di Napoli e, quindi, presso il Centro Oncologico di Aviano, in Friuli, dove decedeva il 20 ottobre 2010.
- f) la decisione del Tribunale di Benevento era stata adesiva delle conclusioni del CTU medico-legale, nominato in primo grado, che, pur non negando che il paziente non si fosse presentato “alla vista di controllo del febbraio 2005, fissata il 27/10/2004”, riteneva che, nel 2004, non sia stata formulata una stadiazione completa della neoplasia maligna della corda vocale destra”, né vi era “traccia di quale fosse programma di follow up che la vittima avrebbe dovuto seguire”.
- g) le conclusioni del CTU “risultano contraddittorie, rispetto alla innegabile circostanza, di pregnante rilievo, per cui il paziente si sottrasse al controllo del febbraio 2005, calendarizzato il precedente 27 ottobre 2004”.
- h) il medesimo CTU aveva, peraltro, affermato che nel 2004 “non fossero presenti linee guida che raccomandassero vivamente l’utilizzo di chemioterapia preparatoria o post-operatoria, nei primi stadi della neoplasia della corda vocale, da cui era affetto”, né vi erano “linee guida che imponessero l’utilizzo della radioterapia invece che della chirurgia”.
- i) l’affermazione del CTU sulla mancanza di follow up era smentita dalle visite effettuate dal Vi. il 24 maggio 2004 e 27 ottobre 2004, dopo l’intervento del 5 maggio 2004.
- l) inoltre, “la avvenuta indicazione della “stadiazione” era in qualche modo ammessa da parte attrice, già nella citazione di primo grado, laddove, con riferimento alla neoplasia laringea, si scrive di neoplasia di tipo T1a, in assenza di interessamento linfonodale” e, comunque, era “assorbente l’esito della biopsia del 5 maggio 2004, laddove si osservava come il tessuto di granulazione forse del tutto privo di atipie, vale a dire, la neoplasia era stata radicalmente asportata”.
- m) non erano note le ragioni per cui il paziente si era sottratto al controllo del febbraio 2005 e non vi era “alcuni elemento istruttorio, da cui evincere che l’otorino abbiamo omesso di comunicare al paziente la sussistenza della necessità di seguire un programma di controlli periodici”.
- n) rispetto alla “mancata calendarizzazione di esami strumentali, come TAC e Risonanza Magnetica, evidenziata dal CTU, il Vi. aveva “a sua disposizione il recentissimo ed assorbente referto istologico del 5 Maggio 2004, attestante l’assenza di atipie”, non potendosi, quindi, imputare al medico, “nell’arco di pochi mesi, la mancata prescrizione dei suddetti esami strumentali”.
- o) la condotta del medico era, dunque, da prendersi in considerazione “fino all’ultimo contatto del 27.10.2004, e non oltre”, non essendo la successiva interruzione del rapporto del paziente dipesa dalla volontà del professionista.
- p) “dirimente” – anche volendo aderire alla tesi della recidiva del tumore laringeo del 2004 (contrastata in base al referto del 19/10/2010 del Centro Oncologico di Aviano) – era “il mancato assolvimento (da parte degli eredi) all’onere di provare il nesso eziologico tra la condotta dell’otorino tenuta fino al 27/10/2004 – e l’evento della morte, intervenuta nell’Ottobre 2010″, dovendosi ritenere che “l’omessa presentazione alla visita di controllo” – e l’essersi sottratto il paziente “per diversi anni” ai controlli – abbia comportato “l’interruzione del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e l’evento lesivo”.
La Corte di Cassazione conferma la decisione di secondo grado
I ricorrenti censurano il mal governo da parte del Giudice di appello della regola probatoria del “più probabile che non”, asserendo che la stessa abbia trovato erronea applicazione in ragione di una non corretta considerazione degli esiti della CTU medico-legale espletata in corso di giudizio.
Ciò che viene anzitutto criticato, ma inammissibilmente, è proprio l’accertamento della Corte territoriale sulla realtà materiale e cioè sugli aspetti fattuali che l’hanno condotta a ritenere il medico e la struttura sanitaria esenti da responsabilità civile per il decesso del congiunto degli attori.
Invero, la Corte di appello ha tenuto in considerazione gli esiti della CTU, ma, con motivazione logica, ha reputato di non condividerli, dando rilievo ad elementi di fatto, sia quanto alla stadiazione completa della neoplasia maligna (ritenuta già ammessa dagli attori, avendo essi indicato una “neoplasia di tipo T1a, in assenza di interessamento linfonodale”, e, comunque, in via “assorbente”, da reputarsi “radicalmente asportata” in quanto la biopsia del 5.5.2004 era di “tessuto di granulazione… del tutto privo di atipie”), sia quanto al follow up (per la serie, invece, di controlli effettuati anche successivamente all’intervento del maggio 2004, sino al controllo del 27/10/2004 e alla fissazione del controllo del febbraio 2005) e alla mancanza di esami strumentali TAC e RM (per essere il Vi. in possesso del “recentissimo ed assorbente referto istologico del 5 maggio 2004, attestante l’assenza di atipie”), ritenuti tali da elidere la validità degli apprezzamenti del consulente tecnico d’ufficio in punto di condotta omissiva del sanitario in correlazione causale con il decesso del paziente.
I Giudici hanno correttamente applicato le regole inerenti l’accertamento del nesso di causa, assumendo, proprio in base al criterio della preponderanza dell’evidenza, che non vi fosse una condotta omissiva del sanitario causalmente determinante il decesso del paziente, da ascriversi, invece, al comportamento del medesimo, che si era sottratto ad ogni controllo medico per diversi anni.
Avv. Emanuela Foligno