Paralizzato agli arti inferiori dopo l’intervento di erniectomia: il Tribunale liquida oltre 500mila euro, invece la Corte di appello rigetta in toto per poi, in sede di rinvio, liquidare oltre 300mila euro (Cassazione civile, sez. III, 29/10/2024, n.27888).
Il caso
Viene citata a giudizio dinanzi il Tribunale di Palermo l’Azienda Ospedaliera “Villa Sofia – CTO” chiedendo il risarcimento del danno per essere stato il paziente sottoposto a due interventi di erniectomia ed essere successivamente rimasto paralizzato ad entrambi gli arti inferiori.
Il Tribunale accoglie la domanda, condannando la struttura al pagamento della somma di 578.080,63 euro e osservando che “la scelta di operare esclusivamente una laminectomia posteriore aveva comportato un pericolo concreto di insulto ischemico e meccanico del midollo”.
La struttura presenta appello e la Corte di Palermo, previa nuova CTU, accoglie l’impugnazione, rigettando la domanda.
I CTU di secondo grado hanno rilevato che il paziente era stato informato ed aveva prestato il proprio consenso, e che “alla paralisi degli arti inferiori il paziente appariva ineluttabilmente destinato, in mancanza d’intervento chirurgico, stante l’inarrestabile processo degenerativo del suo parenchima nervoso e che doveva escludersi una condotta colposa nell’operato dei medici e che l’intervento di sola decompressione posteriore, effettuato secondo i principi di perizia, prudenza e diligenza, costituiva uno degli interventi meno pericolosi e che difettavano in materia precisi protocolli che indicassero condivisibili schemi di comportamento diagnostico e terapeutico predefiniti, essendo diagnosi e terapia affidate in larga parte alla sperimentazione ed alle teorie, il più delle volte contrastanti, praticate”.
Il doppio ricorso in Cassazione
Il paziente impugna la sentenza per cassazione e la S.C., con sentenza n. 3136 del 7/02/2017, nel contraddittorio con l’Azienda ospedaliera Villa Sofia, accolse entrambi i motivi di ricorso e cassò con rinvio la sentenza d’appello.
La Corte di Palermo, in fase di rinvio (sentenza n. 1484 del 7/10/2020), previa esecuzione di una terza CTU, ha riconosciuto oltre trecento mila euro e anche questa decisione viene impugnata dal paziente in Cassazione.
Viene dedotto che la prestazione sanitaria non sarebbe stata eseguita correttamente e che la Corte territoriale avrebbe errato non riconoscendo al paziente il lucro cessante consistente nel miglioramento delle sue condizioni fisiche che avrebbe conseguito se l’intervento di erniectomia fosse stato correttamente eseguito.
Le censure sono infondate e la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Il danno rapportato allo stato di salute del paziente
La Corte di Palermo ha motivato il proprio convincimento sulla base della CTU rinnovata in fase di rinvio, ed è giunta alla conclusione di rapportare il danno non allo stato di salute integro del paziente, ma allo stato di salute comunque compromesso dello stesso, che accusava, già prima dell’operazione originaria, dei “deficit neuromotori preoperatori, dei segni di severa mielopatia e della duratura sofferenza del midollo spinale”.
Le suddette conclusioni non sono state contestate e, comunque, la Corte di Palermo ha specificamente esposto le ragioni del proprio convincimento, non aderendo acriticamente alla CTU rinnovata.
Ad ogni modo, la Corte di appello ha evidenziato che, difformemente da quanto ritenuto dal Tribunale, i CTU avevano ribadito che il paziente non avrebbe “mai riacquistato la piena funzionalità degli arti inferiori, cioè la piena guarigione, neppure con intervento adeguato e correttamente eseguito, a causa della gravità delle patologie dalle quali era originariamente affetto”.
Il danno è stato correttamente individuato nella diminuzione dell’integrità psicofisica del paziente rispetto al suo stato iniziale di salute, già compromesso prima dell’intervento di erniectomia, sebbene originariamente questo non fosse stato correttamente eseguito.
In conclusione, il ricorso viene rigettato per infondatezza.
Avv. Emanuela Foligno