La domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante proposta dalle figlie di età superiore ai 26 anni viene rigettata (Tribunale di Firenze, Sez. II, Sentenza n. 1485/2021 del 31/05/2021 – RG n. 9664/2017 – Repert. n. 3168/2021 del 31/05/2021

A seguito dell’emissione della sentenza parziale e non definitiva nr. 1711 del 2020 , con la quale è stato : –accertato e dichiarato la responsabilità delle parti nella causazione del sinistro stradale del 29.10.2015 rispettivamente nella misura del 70% per il convenuto e del 30% per l’attore danneggiato ; — dato atto che le attrici hanno ricevuto nel gennaio 2017 la somma di euro 600.000,00 dalla Compagnia assicuratrice; — dato atto che il danno non patrimoniale complessivamente da riconoscere è rispettivamente di euro 205.914,01, di euro 194.273,32, di euro 200.456,32, di euro 75.512,00; — dato atto che il danno patrimoniale da danno emergente subito dal coniuge e dalle figlie è pari ad euro 17.902,50, ed essendo quest’ultimo aspetto contestato, la causa viene rimessa sul ruolo per l’accertamento dell’entità del danno patrimoniale eventualmente da riconoscere agli eredi del de cuius.

Le donne lamentano, sul piano patrimoniale, un danno da lucro cessante (perdita economica dei contributi, delle sovvenzioni e/o utilità che per legge e solidarietà familiare sono sempre state versate in favore dei componenti della famiglia e che sarebbero state conferite dal soggetto scomparso pure in futuro), rappresentato dal fatto che il congiunto deceduto, prossimo al pensionamento, avrebbe percepito una pensione annua di oltre 36.175,06 euro e quindi, calcolando la sua aspettativa di vita di anni 82, e tenuto conto che al momento del decesso aveva 65 anni, avrebbe sicuramente capitalizzato complessivamente una somma di euro 614.976,02, della quale la moglie e le figlie avrebbero potuto usufruire, vista la forte unione e solidarietà familiare che li legava tra loro sia sul piano affettivo, che economico.

Al riguardo le attrici evidenziano la contitolarità del conto corrente con il de cuius e l’autorizzazione ad operarvi con delega, anche per l’addebito delle spese personali.

Il Tribunale dispone CTU contabile; depositato l’elaborato la convenuta contesta le risultanze in punto di omesso calcolo – relativamente al danno patrimoniale da lucro cessante – degli importi comunque riscossi e da riscuotere dalla vedova per esserle stato riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità del de cuius.

In definitiva, la residua domanda riguarda la determinazione del danno patrimoniale, derivante dall’applicazione del principio per il quale la morte di una persona può causare ai suoi familiari un danno patrimoniale iure proprio da lucro cessante, consistente nella perdita dei benefici economici che la vittima avrebbe destinato loro in maniera continuativa o per legge o per costume sociale.

Può dirsi sussistente la lesione del diritto di credito “quando l’evento ha inciso totalmente o parzialmente sugli apporti economici che erano dovuti dalla vittima primaria al congiunto alla stregua di una norma di legge , che, con riguardo al rapporto tra i coniugi e tra genitori e figli, si individua nel combinato disposto de gli artt. 143 e 147 c.c. relativi ai c.d. doveri di contribuzione e mantenimento”.

Nel caso di decesso del coniuge, il superstite può dedurre in giudizio non solo il diritto al risarcimento del danno da compromissione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c., ma anche l’aspettativa di conseguire utilità economiche da collocarsi al di fuori del quadro di stretta doverosità giuridica , perché aventi una matrice consuetudinaria.

Dalle prove testimoniali è emersa una pratica di stretta solidarietà tra il de cuius e le figlie, tali da rendere ragionevolmente presumibile un apporto patrimoniale non meramente episodico, ma continuativo.

Il danno invocato può essere liquidato sia in forma di rendita, sia in forma di capitale. La liquidazione in forma di capitale si ottiene:

(a) determinando il reddito della vittima al momento della morte;

(b) detraendone la quota presumibilmente destinata ai bisogni personali della vittima o al risparmio;

(c) moltiplicando il risultato per: (c’) un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie, se sia ragionevole ritenere che, in mancanza dell’illecito, il superstite avrebbe continuato a godere del sostegno economico del defunto vita natural durante; in tal caso il coefficiente da scegliere dovrà essere corrispondente all’età della vittima se questa sia più giovane dell’alimentato, ed all’età di quest’ultimo nel caso contrario; (c”) un coefficiente di capitalizzazione delle rendite temporanee, se sia ragionevole ritenere che, in mancanza dell’illecito, il superstite avrebbe continuato a godere del sostegno economico del defunto non già vita natural durante, ma solo per un periodo di tempo determinato; in tal caso il coefficiente da scegliere dovrà essere corrispondente alla durata presumibile per la quale sarebbe proseguito il sostegno economico.

Nel determinare il reddito della vittima da porre a base del calcolo deve essere considerato il reddito goduto al momento della morte deve essere detratto dall’ammontare delle spese per la produzione del reddito ed il carico fiscale, che rappresentano voci di spesa e riducono il reddito disponibile per i familiari.

Considerato che l’operazione di capitalizzazione consiste nel trasformare una rendita in un capitale, essa potrà avvenire in base all’ultimo reddito goduto dalla vittima nel solo caso in cui sia possibile ritenere che, se la vittima fosse rimasta in vita, il suo reddito non si sarebbe verosimilmente incrementato.

Nel caso di specie ciò è possibile.

La vittima, deceduta il 29.10.2015, sarebbe andata in pensione l’1.11.2015, per cui il reddito che può essere tenuto in considerazione è quello che avrebbe percepito da pensionato poiché questo sarebbe rimasto stabile e non sarebbe aumentato in virtù dei possibili incrementi che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita, proprio in quanto che la carriera professionale del de cuius era, appunto, terminata .

Tale reddito dovrà essere ridotto di quella quota che la vittima avrebbe destinato a sé, oltre al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito .

Nell’atto di citazione, parte attrice quantifica il danno da lucro cessante considerando l’importo della pensione che avrebbe percepito il de cuius dal 01.11.2015 come da prospetto dell’INPS (euro 36.175,06) e la differenza tra l’aspettativa di vita media (82 anni) e l’età alla data del decesso (65 anni).

Dalla CTU emerge: “Nel prospetto analitico del trattamento pensionistico INPS, la pensione annua lorda è pari a EUR 48.349,08 per una pensione mensile lorda di EUR 4.029,09. Considerando anche la tredicesima mensilità, la pensione lorda annua risulta: Pensione mensile lorda EUR 4.029,09 * 13 mensilità = EUR 52.378,17 . Il carico fiscale su una pensione lorda di EUR 52.378,17 relativamente all’anno 2016 è così composto: IRPEF netta EUR 16.142,00, Addizionale regionale EUR 808,00, Addizionale comunale EUR 105,00, TOTALE EUR 17.055,00 . La pensione netta annua ammonta quindi a EUR 35.323,17. Per quanto riguarda i mesi di novembre e dicembre 2015, si deve considerare la pensione netta che sarebbe stata pagata per tali mesi oltre alla quota di tredicesima maturata. La rata di pensione in pagamento per il periodo 11/2015 è indicata nel prospetto INPS allegato ed è pari a EUR 2.782,66, lo stesso importo si può considerare per il mese di dicembre 2015; la quota di tredicesima netta per il 2015 è indicata nello stesso prospetto in EUR 416,34. Il totale per i mesi di novembre e dicembre 2015 è quindi EUR 5.981,66.”

Ciò posto, il Tribunale dà atto che le figlie della vittima (trentenni all’epoca del sinistro) si erano rese già autonome ed indipendenti dai loro genitori, a nulla rilevando che la figlia più piccola risultava ancora a carico dei genitori nell’ultima dichiarazione fiscale presentata.

Sul punto, la Suprema Corte indica l’età di 26 anni dei figli come l’età fino alla quale i figli ricevono il sostegno economico dei genitori; “tale età corrisponde all’età media in cui gli studenti normalmente conseguono il diploma universitario e si inseriscono nel mondo del lavoro ed appare quindi un termine temporale equo per ai fini del calcolo”.

Se così è, e alla luce del raggiungimento da parte delle figlie di un età superiore a quella di 26 anni, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante da loro proposta dalle viene rigettata.

Relativamente alla determinazione della quota che il de cuius in vita avrebbe destinato ai propri bisogni personali (c.d. quota sibi ) e tenendo conto che in questo scenario il nucleo familiare da sostenere sarebbe stato composto soltanto dal de cuius e dalla moglie, in età pensionabile , la quota di reddito destinata ai bisogni personali della vittima avrebbe potuto avere un incremento fino ad arrivare a ½ del reddito.

Il danno futuro è pari a euro 254.800,08. Quindi il danno totale ammonta a: danno già maturato euro 91.932,01, danno futuro euro 254.800,08, totale euro 346.732,09 .

Nel caso di quota di reddito destinata a bisogni personali pari a 1/2, il danno da lucro cessante può essere indicato in EUR 346.732,09 , da cui va detratta la quota di corresponsabilità nella causazione del sinistro, per giungere alla somma di euro 242.719,4.

La vedova, dal novembre 2015 percepisce una pensione lorda di reversibilità di euro 31.426,90 annua, pari ad euro 23.336,48 (detratte le imposte e le addizionali locali).

Ebbene, secondo la Suprema Corte, la prestazione pensionistica ha funzione previdenziale e solidaristica, poiché garantisce la continuità del sostentamento ai superstiti del lavoratore e non ha finalità di risarcimento del danno patrimoniale conseguito all’illecito.

Pertanto, la pensione di reversibilità percepita dalla vedova non deve essere computata in differenza alle conseguenze negative che derivano dall’illecito, perchè il trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde ad un diverso disegno attributivo causale.

In conclusione, il Tribunale di Firenze, accerta e dichiara la concorrente responsabilità nel sinistro del de cujus in ragione del 30% e del convenuto in ragione del 70 %; da atto che ante causam la Compagnia Assicuratrice ha corrisposto alle attrici la somma di euro 600.000 ,00; accerta e dichiara che parte attrice è creditrice della somma complessiva in moneta attuale di euro 936. 776,62 ; condanna i convenuti, in solido tra di loro, a pagare alla parte attrice la differenza di euro 318.176,62, oltre agli interessi di legge; condanna i convenuti in solido tra di loro a rifondere alle attrici i 2/3 delle spese del giudizio che per il restante 1/3 restano compensate ; pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti convenute, in solido tra loro, in ragione di 2/3 e di 1/ 3 a carico delle attrici e condanna i convenuti in solido a rifondere alle attrici quanto da queste eventualmente già corrisposto ai CCTTUU in eccedenza.

Avv. Emanuela Foligno

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