Rampa di cemento provoca la caduta del passante

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La donna caduta sulla strada conveniva a giudizio il Comune di Marconia deducendo che, mentre stava camminando, era inciampata in un ostacolo tra il marciapiede e la sede stradale, costituito da una rampa di cemento non autorizzata.

Tribunale e Corte di appello rigettano la domanda risarcitoria e negano la responsabilità del Comune.

La vicenda

A causa della caduta, la donna aveva riportato frattura trimalleolare dell’articolazione tibio-tarsica sinistra. Inoltre si era dovuta sottoporre ad interventi chirurgici e controlli radiografici. E ne erano derivati postumi invalidanti nella misura del 20% connessi alla difficoltà di articolare la caviglia sinistra.

Il Comune convenuto eccepiva la propria carenza di legittimazione, per non aver realizzato la rampa di cemento nel luogo della caduta. Il Tribunale di Matera, con la sentenza n. 43/2009, rigettava nel merito la domanda, ritenendo che quanto dichiarato dalla donna non aveva trovato riscontro nelle risultanze istruttorie.

In particolare, la fase testimoniale era stata caratterizzata dalla vaghezza delle deposizioni rese da terzi, oltretutto legati da vincoli di parentela e affinità con l’attrice, in parziale contraddizione con le dichiarazioni rese al Vigile urbano incaricato degli accertamenti.

Inoltre, non risultavano allegati reperti fotografici atti a provare lo stato dei luoghi, giungendo alla conclusione che: da un lato, la rampa di cemento avrebbe avuto un ruolo inerte e passivo nella causazione dell’evento, con conseguente non operatività dell’art. 2051 c.c.; e, dall’altro, la responsabilità del Comune era altresì da escludere ai sensi dell’art. 2043 c.c. per la visibilità piena della rampa e per la sua prevedibilità.

La Corte d’Appello di Potenza (sentenza n. 124/2019) rigettava l’appello e confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando la donna al pagamento delle spese processuali.

Il ricorso alla Corte di Cassazione e il rigetto

Secondo la tesi della donna, i Giudici di merito non avrebbero applicato alle prove acquisite, sia a quelle utilizzate, sia a quelle svalorizzate, massime di esperienza consolidate. Si duole, inoltre, della mancata valorizzazione sia della esistenza e consistenza della rampetta di cemento tra sede stradale e marciapiede, sia alla mancanza sul posto in cui è avvenuto il sinistro, e nel momento in cui questo è avvenuto, di illuminazione artificiale.

La Cassazione considera inammissibili tutte le censure nella parte in cui la ricorrente, ribadendo le censure svolte nel primo e nel secondo motivo appello e respinte dalla Corte, sollecita sostanzialmente una rivalutazione del materiale istruttorio e delle risultanze testimoniali, rivalutazione che è invece preclusa in sede di legittimità.

I motivi sono anche infondati, in quanto, contrariamente a quanto deduce la donna, la Corte di Appello di Potenza, dopo aver adeguatamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che il Giudice di primo grado aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie, ha motivatamente confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che dall’escussione dei testi non era risultato provato (con la necessaria certezza) neppure il punto della caduta e, quindi, non era risultato provato lo stesso rapporto di causalità tra il fatto dannoso (la caduta) e la cosa (cioè la rampa di cemento), che avrebbe cagionato il danno.

I Giudici di merito hanno correttamente applicato i principi che regolano la materia della responsabilità per custodia (Cassazione civile sez. III, 06/12/2023, n.34239).

Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.

Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, ragion per cui spetta al danneggiato l’onere di dimostrare il fatto ed il nesso causale tra il fatto ed il danno, mentre spetta al custode, cui grava la responsabilità oggettiva, provare non la sua assenza di colpa, ma il caso fortuito, cioè l’intervento di un qualsiasi fattore che, in base ai principi della regolarità o della adeguatezza causale, abbia eliso il nesso causale, tale potendo essere anche la condotta incauta della vittima.

Ebbene, la Corte di Appello dopo avere affermato la natura oggettiva della responsabilità per danno di cose in custodia; posto a carico del danneggiato l’onere di provare il rapporto causale tra la cosa e l’evento; posto a carico del custode l’onere di provare il caso fortuito – ha correttamente ritenuto che la regola posta dall’art. 1227 c.c. va inquadrata nell’ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso.

Applicando i suddetti principi, è stato affermato che non solo non era risultato provato che l’ostacolo fosse imprevedibile (ossia, che non solo non era risultato provato che la danneggiata avesse impiegato l’ordinaria diligenza del danneggiato nell’uso della strada), ma era risultato provato che la condotta della danneggiata era stata causa esclusiva del danno, in quanto, risiedendo ove si è determinato il sinistro, era nella situazione di conoscere la presenza della rampetta e di prevenire con l’ordinaria diligenza quanto accaduto, e, quindi, “nella specie sussiste una evidente colpa del danneggiato nella determinazione dell’evento idonea ad inserirsi nella serie causale come fatto del terzo”.

Avv. Emanuela Foligno

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