La prova nella domanda di rendita per malattia professionale

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Il lavoratore presenta domanda di malattia professionale per stato ansioso depressivo derivante da demansionamento. La domanda, però, viene respinta per mancanza di prova e il ricorso in Cassazione è inutile (Cassazione Civile, sez. lav., 09/05/2024, n.12711).

La vicenda

La Corte di Napoli (sent. 10/5/2018) ha confermato quella di primo grado che aveva rigettato la domanda di rendita per malattia professionale (stato ansioso depressivo persistente da demansionamento lavorativo). I giudici avevano rilevato in particolare che il danno non era provato né allegato con riferimento a percentuale minima (trattandosi di malattia non tabellata). Quindi la CTU non veniva disposta perché considerata esplorativa.

In Cassazione il lavoratore sostiene che la Corte di Napoli non avrebbe distinto la responsabilità datoriale dalla tutela previdenziale, la quale non richiede un’indicazione percentuale, e per non aver considerato la non contestazione dei fatti, e non avere comunque pronunciato sulle richieste di prova.

Le doglianze vengono respinte.

La sovrapposizione di censure di diritto, sostanziali e processuali, non consente alla Corte di cogliere con certezza le singole doglianze prospettate, dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità.

Oltre a ciò, la S.C. evidenzia che il controllo di legittimità non consente di riesaminare, e di valutare autonomamente, il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal Giudice di appello, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova acquisiti al processo.

Avv. Emanuela Foligno

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