In caso di accertata illegittimità della delibera di esclusione del socio dalla società cooperativa, con conseguente reintegra e ripristino del rapporto associativo, trova applicazione la tutela di cui all’art. 18 nel testo vigente all’epoca del licenziamento

La vicenda

La Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva accertato l’illegittimità del licenziamento disciplinare e della contestuale delibera di esclusione di una operatrice socio-sanitaria dalla cooperativa sociale Onlus, disponendone la reintegra e la riammissione quale socia, e condannando la cooperativa al pagamento di un’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18, comma IV, legge n. 300/70, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra.

La Corte di merito, applicando la giurisprudenza di legittimità, aveva ritenuto che dalla illegittimità della delibera di esclusione della socia lavoratrice, fondata esclusivamente su ragioni disciplinari, derivasse l’applicazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

Il ricorso per cassazione

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la cooperativa sociale Onlus lamentando l’errata applicazione delle legge. In particolare, a detta della ricorrente, la corte territoriale aveva erroneamente applicato la tutela risarcitoria prevista dall’art. 18 nel testo previgente alla legge n. 92/2012 e non in quello in vigore all’epoca del licenziamento, che stabiliva che la misura dell’indennità risarcitoria non poteva essere superiore a dodici mensilità dalla retribuzione globale di fatto e che – se applicato – nel caso di specie avrebbe comportato la condanna al massimo a 12 mensilità invece che a 33 (quante erano quelle tra la data del licenziamento e la data in cui la lavoratrice aveva esercitato l’opzione di cui all’art. 18 comma 4 dello Statuto, rinunciando alla reintegra in favore del pagamento dell’indennità sostitutiva).

Il ricorso è stato accolto perché fondato (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 707/2020).

La giurisprudenza di legittimità

La giurisprudenza della Suprema Corte ha da tempo chiarito che la L. n. 142/2001 recante disposizioni in tema di revisione della legislazione in materia cooperativistica, ha definitivamente ratificato la possibilità di rendere compatibili, anche nelle cooperative di lavoro, mutualità e scambio, ridimensionando la portata di una concezione puramente associativa del fenomeno cooperativo. Ciò in quanto il legislatore ha previsto testualmente che “il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali” (così l’art. 1, comma 3, come modificato dalla L. n. 30 del 2003, art. 9).

È allora evidente – hanno chiarito gli Ermellini – che il rinvio operato alla normativa dello statuto dei lavoratori (e nella specie, dell’art. 18 citato) non può essere considerato un rinvio materiale, poiché in caso di modifica della normativa in esso contenuta, rispetto a quella vigente all’epoca di entrata in vigore della norma di rinvio (l’art. 2), ciò introdurrebbe un ingiustificato elemento di disparità di trattamento tra tutti i lavoratori, assoggettati alla disciplina dell’art. 18 di volta in volta ratione temporis applicabile, ed i lavoratori di società cooperative, rispetto a quali si dovrebbe cristallizzare il testo dell’art. 18 vigente nell’anno 2001.

“Tale interpretazione, irragionevolmente in contrasto con la ratio legis della specifica normativa, che ha inteso equiparare la posizione dei lavoratori soci di cooperative agli altri lavoratori, introdurrebbe un regime di tutela differenziato non previsto dalla norma (e favorevole, ne caso di specie, ai medesimi lavoratori soci di cooperativa).

Ebbene, per queste ragioni la sentenza impugnata è stata cassata, proprio nella parte in cui condannava la cooperativa al pagamento di una indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18 comma IV, legge n. 300/1970, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra.

La causa è stata, perciò, rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, perché in applicazione del testo dell’art. 18 comma 3 Sta. Lav. vigente all’epoca dei fatti, individui la misura del risarcimento da riconoscere alla lavoratrice, tenendo conto che, in ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, conformemente al seguente principio di diritto: “In tema di società cooperativa di produzione e lavoro, l’art. 2 della l. n. 142/2001 esclude l’applicazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori nell’ipotesi ove, con il rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo, sicché l’accertata illegittimità della delibera di esclusione del socio, con conseguente ripristino del rapporto associativo, determina l’applicabilità della tutela di cui all’art. 18 nel testo vigente all’epoca del licenziamento”.

Avv. Sabrina Caporale

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