Ritardo diagnostico di 15 mesi, donna muore per un tumore al seno

0
ritardo-diagnostico

La vicenda riguarda i presunti errori commessi dall’Azienda Sanitaria con riferimento a un ritardo diagnostico di 15 mesi della diagnosi di patologia oncologica causato dall’errata refertazione dell’esame citologico di agoaspirato. La paziente è stata sottoposta inutilmente a intervento di mastectomia bilaterale, in luogo di quella monolaterale sx (Tribunale Firenze – sentenza 6 agosto 2024, n. 2577).

I fatti

Nel marzo 2014 la vittima (deceduta nelle more del giudizio) notava la presenza di una formazione nodulare al seno sx e, pertanto, si rivolgeva all’ambulatorio di senologia del comune di Fucecchio (FI) in cui veniva visitata e tranquillizzata sul carattere benigno della “piccola formazione cistica”.

In quella occasione veniva praticato un esame “agoaspirato” il cui risultato confermava l’assenza di malignità. Anche ai successivi controlli effettuati presso la predetta Azienda, la paziente veniva rassicurata sul carattere benigno della cisti, circostanza supportata dall’esame “agoaspirato” effettuato.

Invece la donna aveva una grave neoplasia maligna, molto aggressiva, la quale, stante l’errore diagnostico dei sanitari dell’Azienda, veniva correttamente refertata 15 mesi dopo la visita del marzo 2014 e la sottoposizione all’esame “agoaspirato”.

Tale ritardo diagnostico comportava per l’attrice, oramai affetta da metastasi in più organi del corpo, una rilevane perdita di chance di guarigione o, almeno, di sopravvivenza.

L’accertamento tecnico preventivo

Per tale ragione promuoveva accertamento tecnico preventivo art. 696 bis c.p.c., ma il collegio di CC.TT.UU. non riconosceva il ritardo diagnostico nella formulazione della corretta diagnosi di neoplasia mammaria bensì identificava quale unico errore commesso dai sanitari dell’Azienda l’aver sottoposto la donna a intervento di mastectomia bilaterale e non monolaterale sinistra.

L’erroneità della CTU dell’ATP veniva confermata dagli esami citologici di “revisione”, eseguiti dopo l’accertamento tecnico preventivo, sul tessuto prelevato dai sanitari di Empoli quando effettuarono l’esame “agoaspirato”.

L’esame citologico di revisione accertava che il tessuto prelevato dai sanitari di Empoli andava classificato come C3, al limite con C4, che significa che il quadro citologico era maligno, mentre, erroneamente, i sanitari di Empoli lo classificarono come C2 e cioè come quadro citologico normale.

Nel corso del giudizio, il Giudice ha formulato proposta conciliativa con l’offerta di pagamento in favore degli attori della somma a titolo risarcitorio comprensiva anche di interessi di 35.000 euro oltre rimborso […] delle spese mediche nella misura riconosciuta congrua dai CC.TT.UU., rimborso integrale delle spese di CTU e di CTP nonché delle spese legali del presente giudizio e di quello di ATP per 5.700 euro oltre iva e accessori di legge.

Tale offerta è stata rifiutata dagli attori che la ritenevano non adeguata.

Il giudizio di merito

La CTU espletata nel corso del giudizio ha evidenziato errori medici commessi dai sanitari che hanno effettuato la diagnosi citologica in seguito all’esame c.d. agoaspirato a cui si era sottoposta la donna.

I CTU hanno accertato che “le condizioni cliniche antecedenti all’intervento, […] alla luce della revisione citopatologica su agoaspirato da nodo mammario cistico sinistro individuato nel marzo 2014 (probabilmente presente già nel maggio 2013) si caratterizzano per la presenza di una lesione proliferativa della mammella, con atipie (C3). Ciò che sarebbe variato, in conseguenza di questa corretta diagnosi (rispetto a quella erronea, sottostimante), sarebbe stato il programma di follow up e di verifica della natura della lesione”.

“In caso di lesioni C2 (come da erronea diagnosi del 2014), sarebbe stato corretto congedare la paziente senza ulteriori approfondimenti (salvo condizioni particolari o altre incongruenze cliniche). In caso di diagnosi C3 il comportamento sarebbe stato invece ben diverso. […] Con l’esito C3 la paziente avrebbe dovuto eseguire con sollecitudine una biopsia. […]

Il ritardo diagnostico

A causa della sottostima diagnostica sul citologico di marzo 2014, la paziente anziché essere inviata ad un’immediata biopsia (oppure escissione diagnostica) del nodulo, come doveva per un C3, era invece trattata con follow up vigile, come previsto per il C2… il ritardo addebitabile a parte convenuta per l’erronea prestazione dell’anatomopatologo è un dato certo e quantificabile in sei mesi, in ragione della sottostima diagnostica anatomopatologica. A ciò segue poi un un’ulteriore fase di differimento temporale del percorso diagnostico terapeutico corretto, della durata di altri otto mesi, ripartiti al 50% tra il comportamento verosimilmente carente della prospettiva prognostica corretta da parte della convenuta ed il comportamento della paziente consistente nel non aver seguito le indicazioni prudenziali di escissione che comunque erano date”.

Ricapitolando, i CTU hanno stimato un ritardo di 14 mesi, dipeso per 10 mesi dal comportamento dei sanitari (6 mesi per la fase iniziale e 4 mesi per la fase successiva) e per 4 mesi dal comportamento della paziente.

In conclusione, i Consulenti hanno identificato “una responsabilità orientativamente pari a circa i trequarti a carico dei sanitari nel determinismo del ritardo diagnostico terapeutico per la paziente.

Il danno oncologico

Ancora, in merito al danno oncologico, i Consulenti hanno rilevato come la signora fosse passata “dallo stadio precoce di malattia, con sopravvivenza a 5 anni molto elevata (superiore al 90%, ovvero mortalità di poche unità percentuali), ad una condizione di malattia avanzata, che al momento della conseguita diagnosi (luglio 2015) presentava una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 20%. Questa variazione di categoria prognostica, secondo il Tribunale, è indubbiamente significativa, e configura un nesso di causalità pieno e non una mera perdita di chance.

Il Collegio peritale ha, inoltre, criticato la scelta di sottoporre la paziente ad una mastectomia bilaterale. In particolare ha osservato che “la mastectomia destra non è giustificata e nemmeno appare giustificata la decisione di una chirurgia radicale eseguita nel luglio 2015 sulla mammella sinistra, essendo stato omesso uno studio approfondito della paziente prima dell’intervento”.

Difatti, secondo i periti, quest’ultima, molto probabilmente in stadio molto avanzato della malattia, non era più candidabile ad una chirurgia radicale sulla mammella, essendo suscettibile di altri approcci palliativi più conservativi. Hanno pertanto stimato, a titolo di danno biologico permanente, un danno risarcibile pari ad un punteggio di 16 punti percentuali (calcolato in maniera

Il Giudice fa proprie le risultanze della consulenza d’ufficio che ha dato per pacifica la sussistenza del nesso causale dello stato avanzato di malattia della paziente.

La condotta omissiva dei sanitari

Oltre a ciò, in applicazione del criterio probabilistico elaborato dalla giurisprudenza, ritiene dimostrato anche il nesso causale tra il ritardo diagnostico della malattia ed il decesso della donna atteso che una corretta diagnosi avrebbe aumentato considerevolmente la probabilità di sopravvivenza di quest’ultima che, a detta dei CC.TT.UU. sarebbe stata superiore del 90% a 5 anni. L’errore medico, risultato in una diagnosi citologica sbagliata, ha comportato una riduzione della probabilità di sopravvivenza della paziente di oltre il 70% ed ha perciò inciso in maniera importante sul bene vita, ponendosi in diretta correlazione causale con l’evento morte.

Pertanto, la condotta omissiva, colpevolmente tenuta dai sanitari, ha aggravato in maniera significativa la patologia che ha poi cagionato la morte della paziente, mentre una diversa condotta, basandosi sulle statistiche disponibili in materia e sulle risultanze della CTU medico-legale, avrebbe, con alto grado di probabilità, evitato tale esito.

Venendo al quantum, gli attori hanno chiesto: iure proprio il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, del danno riflesso del congiunto di vittima di lesioni e del danno patrimoniale, iure hereditatis il risarcimento del danno biologico e morale terminale, del danno catastrofale e del danno patrimoniale.

Il danno iure hereditatis

La paziente ha trascorso un periodo di 7 anni di malattia durante i quali ha patito, soprattutto nell’ultima fase della propria vita, sofferenze fisiche derivanti dallo stadio avanzato della patologia tumorale che la affliggeva. Oltre a ciò vi è una componente di sofferenza psichica, in quanto la donna è stata senza dubbio in grado di percepire il grave problema di salute che l’ha colpita ed era ben consapevole dell’imminenza della propria morte.
Per i primi tre giorni di sofferenza, viene riconosciuto l’importo di euro 30.000,00, cifra massimale prevista dalle tabelle milanesi. Per il periodo dal quarto al centesimo giorno, viene riconosciuta la somma di 53.235 euro, al quale viene aggiunto un incremento del 50%, pari ad 26.617,50 euro, in ragione della giovane età della defunta e del contesto familiare in cui la stessa viveva. Il tutto per la somma complessiva di 109.852,50 euro per il danno terminale (considerato nelle due componenti del danno biologico da invalidità temporanea assoluta e del danno catastrofale). Oltre al danno biologico temporaneo per 35.135,10 euro. Il totale viene ridotto di ¼ sulla base delle osservazioni dei CTU.

Per il danno biologico permanente pari a 16 punti percentuali, per il quale, in considerazione dell’età della paziente al momento dell’intervento (35 anni) e dell’incremento per la sofferenza soggettiva patita dalla stessa perle particolari circostanze del caso di specie, viene riconosciuto un risarcimento di 50.236 euro, ai quali viene attribuita una personalizzazione del danno pari al 30% del biologico, pervenendo dunque ad un importo complessivo di 61.653,40 euro, oltre ITP e ITT.

I danni iure proprio

Spetta ai congiunti il danno da perdita del rapporto parentale. Nella fattispecie in esame, il rapporto di stretta parentela, frequentazione e vicinanza esistente fra la sig.ra e i congiunti – marito e figli della defunta – conduce alla quantificazione massima del danno. La donna, che aveva 33 anni al momento della diagnosi, è morta all’età di soli 41 anni, dopo sette anni di malattia. Tuttavia, i CC.TT.UU., nella loro relazione peritale, hanno attribuito alla sig.ra una quota di corresponsabilità per il ritardo-diagnostico terapeutico, pari ad 1/4. Ergo, viene riconosciuta la somma di 329.770 euro al marito mentre viene riconosciuta la cifra massimale di 336.500 euro per ciascuno dei 2 figli, previa riduzione di ¼.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui