Il Tribunale di Firenze ha parzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta da una donna caduta sulle scale di una struttura alberghiera mentre trascorreva le vacanze natalizie: la pericolosità intrinseca della scala avrebbe richiesto una maggiore attenzione e prudenza

La vicenda

Una donna aveva convenuto in giudizio una struttura alberghiera chiedendo che fosse condannata al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa di un sinistro verificatosi la notte del 31.12.2014.

L’attrice aveva dedotto di essersi recata presso la struttura convenuta per trascorrervi le vacanze natalizie assieme alla propria famiglia. Nell’appartamento assegnatole si trovava una scala per mezzo della quale si raggiungeva il soppalco sovrastante. Detta scala era ripida, con gradini molto piccoli, priva dei supporti antisdrucciolo e dotata di un solo corrimano molto sottile. Sul primo gradino della stessa partendo dal soppalco era inoltre posizionato un vaso con una pianta. Attorno alle ore 4,00 della mattina del 31.12.2014, mentre scendeva detta scala, la donna scivolava, rimanendo con la mano sinistra incastrata nel corrimano, subendo l’amputazione del dito mignolo. Veniva poi soccorsa dai familiari e dagli amici che si trovavano in vacanza assieme a lei che la trasportavano nell’Ospedale più vicino, dove la ferita le veniva suturata. Qualche giorno più tardi, rientrata in Germania, veniva sottoposta ad un secondo intervento di post-amputazione per scongiurare il rischio di necrosi e infezione secondaria.

La domanda risarcitoria

A causa della menomazione subita, l’attrice aveva dichiarato di essere caduta in depressione e costretta ad intraprendere un percorso psicoterapeutico, oltre a trovarsi nell’impossibilità di riprendere immediatamente la propria attività lavorativa di informatore scientifico, caratterizzata da frequenti spostamenti. Per queste ragioni, aveva chiesto il risarcimento oltre che del danno biologico, di quello morale, da vacanza rovinata, esistenziale ed infine patrimoniale per le spese sostenute a seguito del sinistro, per un totale complessivo di 101.827,00 euro oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Ebbene, la domanda è stata accolta dal Tribunale di Firenze, ma solo in parte (Tribunale di Firenze, Seconda Sezione, sentenza n. 1278/2020).

Essendo il sinistro occorso su una scala presente all’interno di uno degli alloggi della struttura ricettiva di proprietà della convenuta, la fattispecie esaminata è stata ricondotta nell’ambito della responsabilità da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cc.

La convenuta, infatti, in qualità di proprietaria, doveva considerarsi custode di tutti gli appartamenti messi a disposizione della clientela e di tutti i beni presenti all’interno degli stessi e pertanto, titolare del potere e dovere di controllo giuridico e fattuale sull’intera struttura al fine di evitare che nella stessa si creassero situazioni di rischio per i terzi.

La responsabilità della struttura alberghiera

In materia di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., la giurisprudenza ha più volte affermato che colui che agisce in giudizio ha l’onere di provare, oltre al danno subito, la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa oggetto di custodia e l’evento lesivo verificatosi, a prescindere da ogni connotato di colpa in capo al custode. In particolare, deve essere fornita la prova che il danno lamentato, secondo il principio della regolarità causale, con ragionevole certezza sia stato provocato dalla cosa in custodia.

Nel caso di specie, tutto il materiale probatorio risultava concordante, sia in ordine alla dinamica del sinistro, sia in relazione alle modalità e al luogo di reperimento del dito dell’attrice.

Era emerso infatti, che la caduta e l’amputazione del dito mignolo della mano sinistra fossero causalmente riconducibili alle peculiari caratteristiche della scala presente nell’alloggio. Ciò in quanto, innanzitutto, sulla sommità della stessa era stato posizionato un vaso che, oltre ad occupare parte del primo gradino già di ridotte dimensioni, si trovava dallo stesso lato del corrimano e la pianta ivi contenuta si avvolgeva sulla ringhiera, in modo da rendere ancora più pericolosa la discesa, stante la difficoltà di appoggiarsi al corrimano. A ciò si aggiungevano le ridotte dimensioni degli scalini, l’eccessiva pendenza della scala e la peculiare conformazione del corrimano che era risultato essere così tagliente da provocare l’amputazione del dito dell’attrice nel punto in cui le due aste da cui era composto si incrociavano.

Raggiunta la prova del nesso di causalità, per andare esente da responsabilità, il custode convenuto avrebbe dovuto fornire la prova liberatoria della sussistenza del caso fortuito.

Spetta, infatti, “al custode l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’ art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva” (Cass. Civ. n. 30775/2017).

Orbene, per la struttura alberghiera la condotta dell’attrice aveva interrotto il nesso causale, integrando così il caso fortuito, avendo ella sceso le scale non volgendo la faccia verso le stesse, e per di più a piedi nudi e a luce spenta per non svegliare la figlia che dormiva assieme all’amica sul soppalco.

Tali argomentazioni sono state accolte solo parzialmente. La condotta tenuta dalla danneggiata non era stata tale da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno e quindi tale da escludere integralmente la responsabilità del custode; ma certamente aveva inciso, in termini di concorso causale, alla causazione dell’evento.

La pronuncia del Tribunale di Firenze

Da un lato, infatti, “non si ravvisa un comportamento colposo del danneggiato che decide di scendere la scala oggetto di causa volgendo lo sguardo verso la direzione in cui si stava muovendo e non verso la scala stessa. Dall’altro, tuttavia, vista la dimostrata pericolosità intrinseca della scala, l’attrice avrebbe comunque dovuto prestare particolare attenzione nell’affrontare la discesa dalla stessa. Dalle dichiarazioni di un testimone era, infatti, emerso che la quest’ultima avesse salito e successivamente sceso la scala senza scarpe per non fare rumore; per di più a luce spenta. L’utilizzo delle scarpe avrebbe garantito un maggiore attrito sui gradini e, accendere la luce le avrebbe consentito di evitare ostacoli, come la pianta posta all’inizio della scala, o comunque di mettere un piede in fallo”.

In definitiva, tenuto conto di tutti questi elementi e del concorso di colpa della danneggiata (pari al 30%), il Tribunale del capoluogo toscano ha liquidato in favore di quest’ultima la somma complessiva di 34.442,97 euro, oltre interessi.

Avv. Sabrina Caporale

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