Per il reato di cessione di sostanze stupefacenti, la confisca del denaro è consentita solo laddove sia provato che le somme sequestrate provengano dall’attività illecita

Seimila euro di multa, oltre alla confisca del denaro e dello stupefacente in sequestro con distruzione di quest’ultimo. Questa la pena inflitta dal Tribunale di Genova a un uomo accusato, ai sensi dell’art.73 comma 5, d.P.R. 309/90, del reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope.

L’imputato aveva impugnato la sentenza chiedendone l’annullamento. Nello specifico eccepiva, tra gli altri motivi,  la violazione di legge in relazione alla disposta confisca della somma di denaro.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 45535/2019 ha ritenuto fondata la doglianza del ricorrente, disponendo l’annullamento della pronuncia limitatamente a tale aspetto e, quindi, la restituzione della cifra confiscata.

Il caso in esame, infatti, rientra – chiariscono i Giudici del Palazzaccio – tra quelli previsti dal quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, per i quali non è consentita la confisca “obbligatoria” del denaro inteso quale prodotto o profitto del reato.

Peraltro, ove il denaro costituisca prodotto o profitto o provento del reato di cessione di sostanze stupefacenti, la confisca è comunque consentita solo se ricorra la sussistenza del vincolo di pertinenzialità tra somma e reato, ovvero la prova che il denaro provenga dall’attività illecita.

Nella vicenda in questione, il provvedimento del Tribunale non individuava tale vincolo, “non potendosi ritenere esaustiva la generica affermazione circa il quantitativo di dosi rinvenuto e l’assenza di mezzi leciti di sostentamento in capo all’imputato, né essendo oggetto di contestazione specifici episodi di cessione che avrebbero consentito di configurare in modo tranquillante il nesso di pertinenzialità”. Da li la decisione di accogliere le argomentazioni dell’imputato con riferimento al motivo specifico del ricorso.

La redazione giuridica

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