Il Ministero del Lavoro, rispondendo a un interpello presentato dall’UGL, fornisce chiarimenti in merito alla retribuibilità dei tempi di vestizione dei dipendenti di aziende che applichino un CCNL che non preveda disposizioni specifiche al riguardo

L’orario di lavoro è definito dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 66/2003 come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni”. Lo ricorda il Ministero del Lavoro nel rispondere a una istanza di interpello (n.1/2020) formulata dall’UGL – Federazione nazionale delle autonomie al fine di conoscere se possano essere inclusi nell’orario di lavoro i tempi di vestizione della divisa da parte dei dipendenti, inquadrati in vari ruoli professionali, di aziende che applichino un CCNL che non preveda disposizioni specifiche al riguardo.

Alla luce delle tre condizioni illustrate – spiega il dicastero – affinché il tempo messo a disposizione del datore di lavoro dal lavoratore sia considerato orario di lavoro e come tale retribuito, si potrebbe ritenere che il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) non possa, di per sé, essere fatto rientrare nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore, nel momento del cambio, non prestando alcuna attività lavorativa, non si troverebbe nell’esercizio delle sue funzioni.

Tuttavia, pur in assenza di precise e specifiche disposizioni di legge, la Corte di cassazione – secondo un orientamento ormai consolidato – ha ritenuto che si debba operare una distinzione.

In particolare, se il lavoratore ha avuto in dotazione gli indumenti di lavoro e dispone della possibilità di portarli al proprio domicilio, recandosi al lavoro con gli indumenti già indossati, il tempo impiegato per la vestizione non può essere considerato orario di lavoro; se, invece, il datore di lavoro ha fornito al lavoratore determinati indumenti, con il vincolo però di tenerli e di indossarli sul posto di lavoro, il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, come tale, va computato e retribuito.

La ratio del discrimine tra le due diverse fattispecie si fonda sul concetto di etero- direzione dell’operazione da parte del datore di lavoro, rinvenibile esclusivamente nella seconda ipotesi.

Per la Suprema Corte, infatti, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito. Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito.

La redazione giuridica

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