Alla perdita del valore d’acquisto delle buste paga si associa la perdita, dal 2009, di circa 25mila unità di personale

 “Mancano professionisti, mancano anche gli infermieri, a mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze. La sanità ha bisogno soprattutto di appropriatezza: garantire il giusto professionista che possa essere messo in grado di rispondere al giusto bisogno, nel giusto contesto, con il giusto utilizzo di risorse nella maggiore autonomia possibile. Serve una visione più ampia e coraggiosa”. E’ il messaggio lanciato al Governo da Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, alla luce dei risultati di un’analisi de gli aumenti, delle buste paga, della perdita di potere di acquisto e di quella degli organici del Servizio sanitario effettuata dal Centro studi FNOPI .

Tra legge di bilancio e nuovi contratti – si legge in una nota dell’organizzazione – c’è una nuvola nera che si addensa sul personale del Servizio sanitario nazionale: aumenti davvero all’osso e buste paga con una media del 6,33% in meno del loro potere d’acquisto dall’ultimo contratto del 2009, con una forbice compresa tra poco più dell’1 e circa il 10% in base alle varie categorie professionali.

Gli aumenti proposti per il nuovo contratto (3,50%) raggiungerebbero una media di circa 144,68 euro in busta paga al personale Ssn.

In realtà sono tra i 180 e i 201 circa per i dirigenti e 83,67 per il comparto, ma la perdita di potere di acquisto, in valore assoluto, va dai quasi 6.500 euro dei medici ai circa 2.500 euro del personale con funzioni riabilitative.

Alla perdita economica si associa la perdita sempre dal 2009 in poi di circa 25mila unità di personale (infermieri in testa con quasi 12mila organici in meno).  Il fenomeno riguarda soprattutto le Regioni più svantaggiate, quelle con piano di rientro. Oggi la carenza di infermieri si assesta secondo i dati FNOPI su oltre 50.000 unità che con l’effetto di Quota 100 potrebbero salire in pochi anni (tre) anche fino a 76.000.

La carenza di infermieri è confermata anche dai dati internazionali. L’ultimo rapporto OECD Health at a Glance 2019 sottolinea infatti, tra le differenze più rilevanti rispetto alla media OCSE, un numero di medici elevato (4 ogni 1.000 abitanti contro la media di 3,5) e un numero di infermieri molto basso (5,8 rispetto alla media di 8,8) . Si registra, inoltre, anche un basso rapporto tra infermieri e medici: secondo i parametri internazionali dovrebbe essere di 3 a 1 , mentre in Italia si ferma a 1,5 ogni camice bianco.

Studi internazionali . sottolinea la FNOPI – negli ultimi tempi hanno dimostrato che troppi pazienti per ogni infermiere aumentano il rischio di mortalità.

Dovrebbero essere 6 in media generale e in Italia vanno dai circa 8 delle Regioni più virtuose agli oltre 17 di quelle con minori organici. 

L’aumento del rischio di mortalità è tra il 25 e il 30%, ma nuovi dati mettono in risalto un altro problema serio di salute legato ai numeri di chi assiste i pazienti. Anche il rischio di alcune malattie, infatti,  risentirebbe del rapporto infermiere/paziente.  Se si analizza la situazione degli ospedali ad alta complessità, quando il rapporto infermiere paziente è pari a 1:2 diminuisce significativamente il rischio di polmoniti (-64%), scompenso d’organo (-52%). infezioni gastrointestinali (-47%), infezioni alle basse vie respiratorie (-40%) e sepsi (-21%).

E l’aumento di un paziente rispetto al rapporto 1:4 aumenta il rischio di riammissione del +11% nelle unità mediche e del +48% nelle unità chirurgiche. Senza contare poi il danno sui pazienti provocato da infermieri a cui si fanno svolgere attività non infermieristiche. L’aumento del rischio complessivo di mortalità per l’eccesso di pazienti e per lo svolgimento di attività non infermieristiche (la burocrazia) è del 25-26% e gli infermieri sono coinvolti, oltre che nell’assistenza, in attività burocratiche in oltre il 90% dei casi.

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