Il Gip del Tribunale di Brindisi ha respinto la richiesta di archiviazione presentata in difesa dell’indagato per truffa in materia di commercio elettronico

La vicenda

Truffa ai danni di ignari acquirenti che servendosi di un noto sito di commercio elettronico, acquistavano dall’indagato beni senza mai ricevere la merce.
Dopo l’imputazione e l’apertura del procedimento penale a suo carico, la difesa presentava un’istanza di archiviazione, dinanzi al Gip del Tribunale di Brindisi che, tuttavia, la respingeva per le motivazioni che seguono.
«La messa in vendita di un bene tramite un sito di commercio elettronico noto e serio costituisce sicuramente un mezzo per indurre in errore i potenziali acquirenti sulle effettive intenzioni truffaldine di chi offre in vendita beni senza alcuna intenzione di consegnarli, risultando così configurato non un semplice inadempimento civile, ma il reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.».
Gli artifizi e raggiri vanno ricavati dalla complessiva condotta del venditore, tenuto conto delle particolari modalità di compravendita di tali beni che avvengono tramite internet, senza che le parti possano avere contatti diretti e senza che alle stesse siano conoscibili le esatte generalità e, che sono caratterizzate dal fatto che il compratore deve pagare anticipatamente il bene che si è aggiudicato, e sperare poi che il venditore glielo faccia pervenire.
Tale meccanismo di vendita pone l’acquirente in una particolare situazione di debolezza e di rischio; occasione che rende il truffatore, seriale o meno, “ladro”! avendo così, la possibilità di realizzare cospicui guadagni vendendo beni che in realtà non ha alcuna intenzione di alienare e dei quali non ha, il più delle volte, neppure l’effettiva disponibilità.
Del resto, la particolare insidiosità della condotta rende l’ipotesi di reato aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 5 c.p., come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione sez. VI, nella sentenza n. 17937/17.

Il caso di specie

Nel caso di specie, l’indagato aveva messo in vendita un modello di drone al prezzo di 380,00 (inferiore al valore di mercato); aveva perciò, intrattenuto con la persona offesa una trattativa anche al fine di spiegare le specifiche tecniche dell’oggetto in questione, concordando conclusivamente il prezzo di 320,00 euro.
Il pagamento era avvenuto attraverso ricarica su carta Postepay intestata all’indagato.
Senonché dopo l’invio della ricevuta di versamento, il truffatore spariva e la merce … anche!
Le indagini espletate dalla Polizia Postale di Brindisi avevano, peraltro, permesso di appurare che la carta Postepay appartenente all’indagato era frequentemente utilizzata quale mezzo per incamerare l’ingiusto profitto delle finte vendite. In un solo giorno, aveva ricevuto molteplici pagamenti, tutti dello stesso importo per l’acquisto del predetto drone.
Ebbene, tale circostanza, per il GIP di brindisi era la prova della serialità o comunque, della sistematicità dell’attività truffaldina nonché del dolo dell’indagato che sin dall’inizio aveva posto in essere quegli scambi con l’intenzione di non adempiere la sua controprestazione e trarre l’ingiusto profitto.

La redazione giuridica

 
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