Con la decisione a commento, la Suprema Corte chiarisce le differenze tra il danno da premorienza e il danno da perdita di chance di sopravvivenza (Cassazione civile, sez. III, 19 settembre 2023, n. 26851).
La vicenda
La paziente con procedimento di ATP chiedeva l’accertamento del danno patito a seguito di errore diagnostico di patologia tumorale, con conseguente omissione terapeutica, correlati ad un intervento di quadrantectomia con biopsia del linfonodo sentinella e successivo svuotamento ascellare per carcinoma duttale infiltrante G3, con determinazione recettoriale inizialmente refertata come negativa.
Negli anni successivi si presentava una recidiva con ripetizioni metastatiche a livello polmonare e osseo che consentivano la deambulazione solo con l’ausilio di due antibrachiali. Secondo la tesi della paziente i Medici avrebbero compiuto un errore diagnostico, nello specifico nell’esame di determinazione dell’assetto recettoriale sul pezzo operatorio effettuato presso l’Unità di Anatomia Patologica.
Tale errore si palesava nel 2010, quando veniva richiesta una revisione dei vetrini per la verifica dell’assetto recettoriale dello stesso pezzo operatorio presso, dove fu constatato che il tessuto tumorale era fortemente ricettivo per entrambi i recettori. Pertanto, quell’errore iniziale avrebbe determinato la mancata prescrizione della terapia ormonale, che avrebbe dovuto essere intrapresa nel 2007, al termine della chemioterapia, e che invece era stata iniziata soltanto nel 2010, quando ormai la malattia era evoluta al IV stadio, con metastasi ossea e polmonare, dall’iniziale stadio 2B in cui la paziente si trovava al momento della originaria diagnosi.
In sintesi, l’errore diagnostico avrebbe determinato la riduzione delle probabilità di sopravvivenza a 10 anni.
La Consulenza tecnica
Il CTU deduceva che la terapia ormonale sarebbe stata in grado di ritardare la comparsa di recidive della malattia che, comunque, sarebbero dipese dalla storia naturale della stessa, sicché la sua mancata instaurazione avrebbe anticipato, più che determinato, la recidiva stessa. Inoltre, al momento della prima diagnosi (errata) si doveva procedere con una terapia a base di Trastuzumab (farmaco Hereceptin), efficace nel migliorare il tasso di sopravvivenza e l’intervallo libero dalla malattia nelle pazienti C-erb-2, riducendo, su base statistica, il rischio di recidiva, e, in minor misura, il rischio di decesso, indipendentemente dalla instaurazione di una terapia ormonale. Concludeva il CTU, affiancato dallo specialista Oncologo, che la combinata instaurazione della terapia ormonale con quella di Trastuzumab avrebbe potuto prevenire la recidiva e la progressione della patologia tumorale, e stimava i postumi permanenti riconducibili a tale aggravamento nella misura del 50% rispetto allo stato anteriore.
Nel giudizio di merito, la Struttura sanitaria deduceva che si era trattato non tanto di danno da perdita di chance, quanto della possibilità di prolungare l’intervallo libero da malattia, beneficiando di una migliore qualità della vita.
La decisione del Tribunale di Livorno
Il Tribunale di Livorno accoglieva la domanda della paziente, osservando: l’errore diagnostico era stato dimostrato; la mancata somministrazione della ormonoterapia e del Trastuzumab aveva condizionato negativamente l’evoluzione della malattia neoplastica, posto che, secondo la letteratura scientifica, la percentuale dei soggetti con malattia nello stesso stadio che si erano avvalsi della terapia omessa era superiore alla percentuale di pazienti che avrebbero presentato comunque una recidiva nonostante la somministrazione del trattamento; che il danno differenziale era da quantificare, secondo le condivise analisi peritali, in misura pari, in specie, al 50% quanto all’invalidità permanente, tenuto pure conto di quanto già risarcito transattivamente; che andava inoltre riconosciuto il danno da perdita di chance, liquidato equitativamente.
La ASL impugna la decisione in appello. La Corte di Firenze respingeva il gravame e osservava: gli oneri di allegazione non potevano ritenersi cristallizzati con riferimento a quanto già argomentato in sede di ATP; l’incidenza della mancata somministrazione farmacologica e della mancata terapia ormonale era stata correttamente valutata sia in termini di peggioramento della qualità della vita (posto che si sarebbe potuta evitare una chemioterapia altamente invalidante), sia in termini di perdita di chance, ovvero di danno da minore durata della vita, oltre che da sua peggiore qualità.
Confermava, quindi, l’accertamento della domanda come in primo grado e riconosceva la personalizzazione del danno biologico, atteso quanto emerso in termini di sconvolgimento della esistenza della paziente, già compromessa dalla scoperta malattia, con perdita di fiducia circa la possibilità di recuperare nel tempo le condizioni pregresse con mutamento definitivo integrale delle proprie condizioni di vita.
Il ricorso in Cassazione
L’ASL Toscana Nord Ovest ricorre per la cassazione della sentenza d’appello, deducendo erroneità riguardo alle voci di danno riconosciute e alla relativa liquidazione. Per quanto qui di interesse, con il sesto motivo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223, c.c., poiché la Corte di appello avrebbe mancato di pronunciarsi, ovvero di motivare, sulla liquidazione del danno da perdita della chance, che non avrebbe potuto essere proporzionale al risultato perduto ma equitativamente commisurato alla possibilità perduta di realizzarlo; con il settimo motivo deduce che la Corte di appello avrebbe errato accordando una personalizzazione del danno biologico del 15% correlandola a conseguenze ordinariamente proprie dell’invalidità ritenuta sussistente; con l’ottavo motivo prospetta errata duplicazione delle voci risarcitorie, essendo stato liquidato sia il danno da perdita di chance sia il danno da premorienza sia, ancora, quello da invalidità biologica in specie permanente, tenuto conto dell’inammissibilità del danno c.d. tanatologico, riferito al bene vita distinto da quello salute.
Le doglianze sono parzialmente fondate.
Preliminarmente la Cassazione specifica che in caso di morte del paziente in corso di giudizio, indipendente dall’errore medico, gli eredi del defunto hanno diritto iure successionis a un risarcimento del danno non patrimoniale parametrato alla vita effettiva del dante causa danneggiato, anziché a quella statisticamente probabile. Invece, in caso di morte dipendente dall’errore medico, gli eredi del defunto hanno diritto iure proprio a un risarcimento del danno da quantificarsi sulla base delle conseguenze eziologicamente riferibili alla negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario.
Ciò posto, e venendo al punto di maggiore interesse, la congiunta attribuzione di un risarcimento per il danno da premorienza e per il danno da perdita di chance di sopravvivenza costituisce – di regola – un’illegittima duplicazione risarcitoria.
Difatti, se la morte è intervenuta, è smentita l’incertezza eventistica che costituisce il fondamento logico, prima ancora che giuridico, del danno da perdita di chance di sopravvivenza. Tuttavia, è eccezionalmente configurabile il cumulo tra le due voci di danno quando, accanto al danno da premorienza (i.e. danno per non aver avuto una vita che si sarebbe protratta più a lungo e per un tempo determinato), è ravvisabile altresì, tenendo conto di tutte le peculiarità del caso concreto e quale conseguenza pressoché certa dell’errore medico, la perdita della chance – seria, concreta e apprezzabile – di vivere ancora più a lungo.
La Corte di Appello non spiega:
- a) quali sarebbero specificatamente le risultanze della CTU da cui emergerebbe innanzi tutto la perdita di chance di evitare la recidiva poi avvenuta;
- b) se la perdita di chance debba riferirsi alla sopravvivenza, oppure al maggiore intervallo libero da malattie;
- c) come sia stato distinto l’accertato danno biologico non solo dalla perdita delle possibilità di sopravvivenza, o dalla perdita della maggiore vita attesa, quanto, al contempo, dal danno da peggioramento della qualità della vita, fisico oltre che spirituale , tenuto conto del fatto che lo si determina nel 50% senza specificare se il valore monetario del punto di invalidità applicato sia stato quello corrispondente a una invalidità del 50%, ovvero quello risultante dalla differenza, indicata, tra la percentuale al momento dell’esame e quella ricostruita come iniziale al momento dell’errata diagnosi (dal 35% all’85%, dunque).
L’accertamento del danno
L’accertamento del danno da premorienza deve essere effettuato secondo il criterio del “più probabile che non” ed è rappresentato non dalla possibilità di vivere più a lungo, bensì dalla perdita anticipata della vita – perdita che pure si sarebbe, comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia.
L’accertamento della perdita di chance – che deve riguardare la “possibilità perduta” (e non la perdita anticipata della vita) – potrebbe eccezionalmente, legittimare il riconoscimento di un distinto risarcimento, in via strettamente equitativa sempre che, sul piano eziologico, sia stata raggiunta una soglia di certezza rispetto a quella concreta possibilità, perché la “seria, apprezzabile e concreta possibilità eventistica” conforma morfologicamente la struttura del bene tutelato, e dunque affermarne la sussistenza, al di là dei termini utilizzati in via di principio, equivale, logicamente, a farlo con eziologica certezza: dovrà, pertanto, risultare causalmente certo che, alla condotta colpevole, sia conseguita la perdita della possibilità di un risultato migliore – non potendosi discorrere di una “probabilità della possibilità”.
Il danno da perdita anticipata della vita, quanto quello da perdita della chance di una possibile, ulteriore sopravvivenza, dovranno distintamente accertarsi non solo in base ai principî di causalità generale e di regolarità statistica, bensì anche, quanto alla “seconda” perdita, in ragione del nesso di causalità specifica, ovvero tenuto conto, nel singolo caso, di tutti i dati medico-anamnestici , alla luce dei quali predicarsi poi, quanto alla chance, l’esistenza di un’incerta – ma seria concreta e apprezzabile – possibilità di vivere per un lasso temporale ancora più lungo.
La Suprema Corte, allo scopo di addivenire ad una terminologia condivisa, chiarisce che:
- a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale);
- b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male;
- c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;
- d) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del “segmento” di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare.
Conclusioni
“Il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente”.
La Corte accoglie il ricorso per difetto di motivazione, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno