Nefrectomia destra e successiva omessa diagnosi di carcinoma (Cassazione civile, sez. III, 29/09/2023, n.27659).

Nefrectomia destra e omissione di controlli sanitari determinano un ritardo nella diagnosi di metastasi di carcinoma.

A sostegno della domanda i congiunti del paziente deceduto indicano che il paziente subiva intervento di nefrectomia destra, a causa di un carcinoma renale, con conservazione della ghiandola surrenale omolaterale. Dopo l’intervento, non veniva prescritto alcun tipo di controllo e tale omissione determinava un ritardo nella diagnosi di metastasi di carcinoma successivamente manifestatasi. Il paziente veniva a mancare a causa dell’evoluzione nefasta della malattia e, secondo la tesi degli attori, ove i sanitari avessero prescritto i dovuti controlli postoperatori, il paziente avrebbe potuto conseguire la guarigione o, almeno, un considerevole allungamento della sua vita.

Il Tribunale, dopo l’effettuazione di 2 CTU, affermava che l’unico soggetto legittimato passivo era l’Università degli studi di Roma, rigettava ogni domanda risarcitoria avanzata dagli attori e compensava le spese.

Successivamente, la Corte d’appello di Roma condannava invece l’Università al pagamento, in favore di ciascuno degli appellanti, della somma di Euro 10.000,00.

I Giudici di appello osservavano che dal confronto delle due CTU,  la seconda delle quali si era resa necessaria per le numerose carenze della prima, emergeva con certezza che le probabilità di guarigione del paziente erano verosimilmente assenti; per cui la morte era stata dovuta non all’omissione della prescrizione dei controlli da compiere dopo il primo intervento, bensì alla forma tumorale maligna che l’aveva colpito. Ad ogni modo osservavano, in riferimento alle considerazioni secondo le quali vi erano probabilità di guarigione “in caso di tempestiva diagnosi del secondo tumore, impedita dall’assenza dei dovuti, ma non prescritti controlli medici”, che il gravame era generico poiché non specificava quali fossero i farmaci e/o le cure che avrebbero consentito di trattare la malattia, né quale fosse “la percentuale di successo di tali incognite terapie”.

La Corte d’appello ha aggiunto che i controlli clinici e strumentali susseguenti ad un intervento di neoplasia renale sono usuali non solo in base alle regole della buona prassi medica, ma anche secondo le norme di comune esperienza. Tanto più che in occasione del secondo intervento chirurgico le dimensioni della massa tumorale asportata erano obiettivamente “importanti”; il che, tenendo conto del fatto che si trattava di una neoplasia con progressione molto lenta, induceva ad affermare che l’omissione del follow up successivamente al primo intervento aveva comportato, con elevata probabilità, “il rilievo tardivo della metastasi”, con conseguente ritardo nell’intervento chirurgico e “minori probabilità di sopravvivenza rispetto ad un’asportazione precoce, fermo l’esito infausto della patologia”.

Ergo, la Corte di merito ha tratto la conclusione secondo cui l’omessa prescrizione del follow up era da ritenere una condotta colposa ascrivibile al personale sanitario “causalmente collegata alla perdita di una maggiore probabilità di sopravvivenza, da intendersi come mancato rallentamento del purtroppo certo evento morte e privazione della possibilità di vivere più a lungo“.

La decisione viene impugnata.

Per quanto qui di interesse, viene censurata la liquidazione del danno da perdita della vita residua nella modesta somma complessiva di Euro 40.000.

Il motivo è inammissibile. Non sussiste, innanzitutto, la contraddizione prospettata dai ricorrenti: affermare – come ha fatto la Corte d’appello – che la perdita di una maggiore possibilità di sopravvivenza, in un soggetto nella quinta decade di vita, “non può che assumere un valore rilevantissimo”, non significa che tale perdita debba essere liquidata con le somme che i ricorrenti pretendevano.

La decisione impugnata ha spiegato che il paziente aveva diritto al risarcimento del danno conseguente al fatto che la sua morte era avvenuta in un momento anticipato rispetto a quello in cui, in presenza di un adeguato follow up, sarebbe comunque avvenuta a causa della patologia tumorale che l’aveva colpito. Ciò posto, la sentenza ha individuato l’intervallo temporale tra la morte effettiva e la data in cui essa sarebbe comunque avvenuta in un lasso di tempo di circa 24 mesi e ha correttamente precisato che il danno, di natura non patrimoniale, doveva essere liquidato in via equitativa e in assenza di parametri normativi.

Ebbene, quel calcolo è stato molto complesso in quanto entrambi i CTU avevano spiegato che le maggiori possibilità di sopravvivenza erano difficilmente prevedibili, formulando al riguardo ipotesi necessariamente dubitative ed incerte.

Conseguentemente, la Corte di Cassazione non può accogliere il motivo perché ciò equivarrebbe a sostituire una diversa valutazione rispetto a quella equitativa compiuta dal Giudice di merito; né può ritenersi sufficiente il richiamo, del tutto generico, alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Roma.

Passando oltre, la terza e la quarta censura riguardano la perdita del rapporto parentale e il danno patrimoniale da diminuzione del reddito del defunto. Ebbene, la sentenza impugnata nulla dice al riguardo delle voci di danno correlate, ma tuttavia ciò è irrilevante.

Innanzitutto, la domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto, conseguente a errore medico, deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di tutti i danni causati dalla morte della vittima. Vi è diversità ontologica dei beni in questione (da un lato, il risarcimento per un evento di danno da lesione di un valore/interesse costituzionalmente tutelato, come la salute o il rapporto parentale, e, dall’altro, la domanda di risarcimento dei danni da perdita di chance). Al riguardo gli Ermellini richiamano la recentissima decisione 19 settembre 2023, n. 26851, che ha ricostruito e trattato ampiamente la complessa problematica.

Ciò premesso, i congiunti non potevano chiedere alla Corte d’appello il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale e il danno patrimoniale da diminuzione del reddito del defunto familiare, come se la morte del paziente fosse stata una conseguenza dell’omissione dei sanitari.

Poiché la Corte di merito ha accertato che la morte del paziente sarebbe comunque avvenuta in conseguenza della malattia tumorale, se ne deve dedurre che gli eredi avrebbero potuto soltanto chiedere il danno derivante dalla perdita della chance di godere della presenza del familiare, e del conseguente suo maggiore reddito, per un periodo di tempo più lungo.

Essi avrebbero, in altri termini, potuto chiedere solo il risarcimento di un danno ipotetico, non quello di un danno derivante direttamente dalla morte, posto che la Corte d’appello ha rigettato il primo motivo di appello nel quale si contestava la sentenza del Tribunale per avere escluso che la morte fosse causalmente riconducibile alla lamentata omissione diagnostica accertata.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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