Il prefetto “può provvedere” (e non deve provvedere) alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti alla misura della libertà vigilata

La vicenda aveva avuto origine dal ricorso proposto, dinanzi al Tar Marche, da un soggetto sottoposto alla misura della libertà vigilata contro il provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida.

Con lo stesso provvedimento con il quale era stata adottata tale misura, il magistrato aveva consentito alla ricorrente di poter continuare a fare uso della patente per ragioni legate all’attività lavorativa; senonché, tale possibilità era stata, in seguito, vanificata dalla revoca del titolo di guida da parte del Prefetto, nell’esercizio del suo potere vincolato, previsto dal richiamato art. 120, comma 2, del codice della strada.

Di qui, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal TAR Marche relativamente all’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per contrasto con gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali.

La questione di legittimità costituzionale

Evidenti, per il TAR, le ragioni di “disparità di trattamento, sproporzionalità e irragionevolezza incidenti sulla libertà personale, sul diritto al lavoro e sulla libertà di circolazione” legate al predetto automatismo di revoca della patente, con conseguente vulnus dei parametri evocati.

Ulteriore motivo di irragionevolezza della norma denunciata è stato individuato nella «contraddizione tra scopi e poteri esercitati da diverse autorità (Giudice e Prefetto) di fronte alla medesima vicenda». E ciò in quanto, diversamente dal Prefetto, «[i]l magistrato di sorveglianza esercita un potere discrezionale, ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190 disp. att. del codice di procedura penale, nello stabilire le prescrizioni alle quali deve attenersi la persona sottoposta a libertà vigilata […] “in modo da agevolare mediante il lavoro il riadattamento della persona alla vita sociale” e tali “da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro […]”».

Ebbene tale evidente contraddizione è stata rilevata anche dai giudici della Corte costituzionale che hanno affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale.

La pronuncia della Corte Costituzionale

La Consulta (sentenza n. 24/2020) ha rilevato che le finalità di tutela delle esigenze personali, familiari e lavorative, perseguita dal legislatore anche nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza – individuata negli artt. dall’art. 228 cod. pen., che al comma 4 stabilisce che «la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale», e analogamente dall’art. 190 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che all’ultimo comma, a sua volta, dispone che «la vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità» – innegabilmente rischia di rimanere frustrata dall’applicazione “automatica” della revoca della patente di guida da parte del prefetto, a fronte della irrogazione di ogni e qualsiasi misura di sicurezza personale al suo titolare, in mancanza di una valutazione “caso per caso” delle condizioni che rendano coerente, o meno, la revoca del titolo abilitativo alla funzione rieducativa della misura irrogata.

Senza contrare, poi, della già accennata contraddizione dell’ordinamento che irragionevolmente consente al magistrato di sorveglianza e al prefetto di adottare nei confronti del medesimo soggetto e in relazione alla stessa condizione di sua pericolosità sociale, misure tra loro incompatibili: da una parte la possibilità di continuare a fare uso della patente, dall’altra la revoca del titolo di guida.

La redazione giuridica

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