La probabilità a priori molto bassa della patologia aortica, non permette di ritenere censurabili le valutazioni della Guardia Medica e dei Sanitari dell’Ospedale (Tribunale di Torino, Sez. IV, Sentenza n. 1893/2021 del 14/04/2021 – RG n. 24413/2017)

I figli e la moglie del paziente deceduto citano a giudizio l’Azienda Ospedaliera deducendo la responsabilità per la morte del familiare, intervenuta dopo l’intervento chirurgico in seguito a rottura di un aneurisma dell’aorta addominale.

Gli attori sintetizzano gli ultimi 15 giorni di vita paziente, iniziatasi con richieste al Servizio di Guardia medica di intervento domiciliare alle date 6 e 7 settembre 2011 per dolori lombari, cui è seguito in data 10.9.11 successivo approfondimento diagnostico e di cure presso il Pronto Soccorso facente capo alla struttura ospedaliera convenuta, e che soltanto in data 13. 9.11 era tuttavia sfociata nella rilevazione diagnostica di aneurisma iliaco destro con fissurazione che conduceva a intervento chirurgico d’urgenza in laparotomia, complicato da lesione iatrogena di ansa intestinale e paralisi degli arti inferiori e peggioramento progressivo sino alla morte avvenuta il 21.9.2011.

Nello specifico gli attori censurano:

– sommarietà e superficialità della visita domiciliare del 6.9.11 da parte dei sanitari della Guardia Medica dell’ASL Torino, che avrebbero sottovalutato il quadro clinico ipotizzando unicamente una calcolosi renale;

– persistere di erroneità della diagnosi e sottovalutazione del quadro clinico anche da parte dei sanitari in servizio al Pronto Soccorso dell’Ospedale, in occasione dell’accesso il giorno 7.9.11, i quali trattennero in osservazione il paziente soltanto due ore e mezzo omettendo in quella occasione di effettuare qualsivoglia esame strumentale;

– superficialità di analisi anche da parte dei sanitari del Pronto Soccorso della Città della Salute, che secondo la difesa attorea in occasione dell’accesso d’urgenza in data 10.9.11 “si fossilizzarono sulla precedente ipotesi diagnostica di colica renale nonostante il dolore durasse da ormai ben cinque giorni “, dimettendo il paziente ed omettendo dovuti approfondimenti strumentali , che vennero in effetti eseguiti soltanto in occasione di secondo accesso al medesimo Pronto Soccorso in data 13.9.11, allorchè grazie a controllo ecografico disposto potè finalmente essere rilevata la presenza di una apparente dilatazione aneurismatica sacciforme per la quale il paziente venne quindi sottoposto ad intervento d’urgenza .

La causa viene istruita con l’espletamento di CTU Medico-Legale.

Preliminarmente il Tribunale analizza la prescrizione quinquennale del diritto invocata dai convenuti ed evidenzia che la stessa è correttamente applicabile alla pretesa in proprio dei familiari del paziente deceduto, ma che risulta formalmente interrotta dalla documentazione allegata.

Nel merito, tuttavia, la domanda degli attori viene ritenuta infondata.

Gli attori prospettano un ritardo diagnostico della patologia aortica quale fattore causale, unitamente alla ritenuta inadeguatezza ed erroneità delle modalità dell’intervento chirurgico, che avrebbe determinato il decesso del congiunto.

L’evento dannoso che forma oggetto della richiesta risarcitoria per inesatto adempimento è dunque stato dagli attori specificamente individuato nel decesso, indicato come avvinto in concatenazione eziologica con l’operato dei sanitari che si sono succeduti nelle cure nei 15 giorni intercorsi tra la prima chiamata alla Guardia Medica dell’ASL Torino (6.9.2011) e la sua morte, intervenuta (il 21.9.11) a distanza di 8 giorni dall’intervento effettuato.

Il Tribunale, riguardo l’eventualità che il decesso del paziente sia ascrivibile a responsabilità della struttura e degli operatori, osserva come la giurisprudenza di legittimità abbia reiteratamente evidenziato che “la contrattualità della obbligazione – se per un verso comporta che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento e non anche la colpa del medico e/o della struttura – non esclude che sia onere degli eredi del paziente deceduto provare il nesso di causalità fra decesso e condotta (anche omissiva) dei sanitari, secondo il criterio della “preponderanza dell’evidenza” causale altresì denominato del “più probabile che non”.

Come noto, solo a fronte di tale accertamento la struttura è a sua volta onerata di dar prova che il decesso sia riconducibile ad una causa imprevedibile e inevitabile.

Ed ancora il Tribunale precisa che:

“- che nell’attività medica – soggetta com’è per sua natura all’alea ed all’imprevedibilità delle caratteristiche fisiologiche dell’organismo di ciascun paziente, ed alle peculiarità connaturate alle differenti reazioni soggettive – l’inadempimento non può essere desunto ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal paziente e/o dalla mera insorgenza di complicanze o anche dallo stesso decesso, ma va pur sempre valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale tenuto conto di tutte le circostanze desumibili dalla documentazione in atti (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918);

– inoltre, per le ipotesi di responsabilità omissiva – cui è riconducibile quella per mancata tempestività nell’erogazione delle cure – che in tanto può ravvisarsi nesso causale tra comportamento del medico e decesso del paziente in quanto possa ritenersi – attraverso un giudizio controfattuale da operare con criterio (necessariamente probabilistico) denominato di “preponderanza dell’evidenza” causale elaborato in dalla giurisprudenza di legittimità in ambito civile e noto come ” del più probabile che non ” – che l’intervento terapeutico alternativo ipotizzabile (avuto riguardo ad anticipazione della prestazione rispetto ai tempi della sua effettuazione) rispetto a quello in concreto praticato avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare l’evento dannoso verificatosi (tra altre , Cass. Sez. 3, n. 10741 del 11/05/2009).”

Svolta tale disamina giurisprudenziale, le risultanze della CTU conducono in primo luogo ad escludere che possa configurarsi un nesso di causalità tra condotta tenuta dai sanitari della Guardia medica e di quelli operanti al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Torino ed il decesso del paziente.

Il collegio peritale ha concluso che né ai sanitari del servizio territoriale né a quelli in servizio presso la struttura ospedaliera intervenuti siano imputabili condotte inadeguate o incidenti sui successivi sviluppi e sull’ exitus.

In particolare: “ – quanto alla visita domiciliare, perchè il verbale della Guardia medica evidenziava un approfondito esame dell’addome con valutazione focalizzata al rachide lombo -sacrale, che in assenza di rilievi significativi anche per valori pressori aveva in quel momento correttamente condotto e sorretto (in misura che secondo letteratura è pari al 97%) una diagnosi – ed una verosimile origine del dolore lombare lamentato – di tipo muscolo -scheletrica; – quanto all’accesso al Pronto Soccorso (il giorno successivo), perché in tale occasione si evidenziava la presenza un calcolo nel bacinetto renale di destra che – in uno con la menzione di episodi recidivanti di dolore al fianco destro, al fatto che gli stessi fossero a carattere intermittente e altresì ad un incremento dei leucociti poteva ancora a quel momento essere indicativo di una diagnosi di colica renale; – in presenza di un dolore monoloterale localizzato a livello dell’angolo costo vertebrale la probabilità che potesse trattarsi di una colica renale, era valutabile intorno al 90%, a fronte del fatto che il sospetto per la presenza di aneurismi aortici in pazienti con sintomi di colica renale è contenuto nell’1,4 % dei casi; ragioni che valutate ex ante e riferite al momento dei rispettivi apporti curativi e diagnostici rendono ragione e giustificano la scelta dei sanitari del pronto soccorso di non procedere ad ulteriori accertamenti diagnostici, in particolare un’ecografia reno-vescicale che avrebbe forse potuto solo accidentalmente rilevare la presenza di una patologia aneurismatica addominale , in quanto l’habitus costituzionale del paziente (obesità grave) rappresentava in quel momento un significativo ostacolo alla sensibilità di tale esame”.

I CTU così concludono: “le modalità di presentazione atipica per un aneurisma addominale in fase di rottura, la stabilità emodinamica e la probabilità a priori molto bassa della patologia aortica, non permettono di ritenere censurabili le valutazioni della guardia medica e dei sanitari dell’Ospedale. Per le ragioni che precedono può escludersi, con preponderante evidenza, che sia ravvisabile malpractice e quindi configurazione di inesatto adempimento in relazione alle prime (e peraltro “provvisorie”) prestazioni sanitarie erogate dal persona medico operante nei servizi dell’ASL Torino (Guardia Medica e Pronto Soccorso Ospedale Martini) nei giorni 6 e 7 settembre 2011, oltre che una qualche relazione causale con il decesso del paziente, sopravvenuto a distanza di 15 giorni da esse e successivamente all’intervento chirurgico effettuato presso l’Azienda Ospedaliera in data 13.9.2011 che – pare altresì opportuno altresì evidenziare – si porrebbe in ogni caso come fattore interruttivo del rapporto eziologico tra il pregresso operato del personale dell’ASL qui convenuta e l’evento dannoso, indicato come detto in citazione nell’exitus del paziente.”

Le conclusioni dei CTU, anche riguardo alle repliche critiche del CTP di parte attrice, vengono integralmente condivise dal Tribunale e poste alla base della decisione.

Riguardo le spese di lite, il Tribunale ritiene di discostarsi dalla regola della soccombenza i quanto, sebbene esclusa la sussistenza di nesso causale tra condotta dei sanitari e decesso del paziente, i CTU hanno comunque accertato un ritardo diagnostico anche se non causalmente rilevante.

Oltre a ciò, la complessità, dovuta alla sussistenza di molteplici prestazioni sanitarie erogate da soggetti diversi, giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

In conclusione, il Tribunale di Torino, rigetta la domanda di risarcimento danni proposta dagli attori, compensa integralmente tra le parti le spese di lite, e pone le spese della CTU a carico solidale delle parti costituite.

Avv. Emanuela Foligno

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