Singolare vicenda che vede coinvolta la dottoressa del 118 che non aveva a bordo dell’ambulanza i dispositivi di protezione individuale anti Covid e si rifiutava di trasportare prontamente il paziente, con infarto miocardico acuto in atto, dal Pronto Soccorso di Gioia Tauro all’Ospedale di Reggio Calabria, per la sua presunta positività al Covid.
La vicenda
Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di Giudice dell’appello, ha rigettato l’impugnazione proposta dal Medico avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Palmi del 16/03/2023, con la quale è stata disposta la misura interdittiva della sospensione per mesi dodici dall’esercizio del pubblico servizio dallo stesso svolto nella qualità di Medico presso l’unità SUEM 118 in quanto gravemente indiziata dei seguenti reati:
- in qualità di Medico in servizio presso il SUEM 118, per colpa dovuta a negligenza, imprudenza e imperizia nonché a inosservanza delle regole elaborate dalla scienza medica, non impediva e dunque cagionava la morte del paziente deceduto per arresto cardiocircolatorio. In particolare, per non avere tenuto a bordo dell’ambulanza “Tango” del 118 dispositivi di protezione individuale anti Covid-19 previsti come obbligatori dalla circolare prot. n.1549 del 15/12/2020 emessa dal Direttore del Servizio 118 di Reggio Calabria;
- per essersi rifiutata di trasportare prontamente il paziente in codice rosso il 19/10/2021 al quale era stato diagnosticato un infarto miocardico acuto con sopralivellamento del tratto SRT elevato, dal Pronto soccorso di Gioia Tauro all’unità di terapia intensiva cardiologica dell’ospedale di Reggio Calabria per la sua presunta positività al Covid-19.
La dottoressa indagata, giunta alle ore 21:32 circa presso il Pronto soccorso, appresa la notizia della debole positività al Covid-19 del paziente, si era allontanata ingiustificatamente dal pronto soccorso per tornare indietro alla postazione di Taurianova e recuperare l’equipaggiamento anti Covid-19 in dotazione all’ambulanza, non accettando i dispositivi di protezione individuali messi a disposizione dal personale del Pronto soccorso di Gioia Tauro, dotato di un reparto di degenza Covid, il cui utilizzo, visto lo stato di emergenza, avrebbe consentito di risparmiare tempo utile per il trasferimento del paziente. Oltre a ciò, la dottoressa non attendeva il risultato del secondo tampone (esito negativo sopraggiunto alle ore 21:37 circa) che avrebbe consentito di procedere immediatamente al trasferimento del paziente prescindendo dalla problematica della mancanza di dispositivi di protezione individuale a bordo dell’ambulanza, e si rifiutava nettamente di tornare al Pronto soccorso di Gioia Tauro, per recuperare il paziente e trasportarlo d’urgenza all’ospedale di Reggio Calabria nonostante le fosse stato prontamente comunicato dalla centrale operativa l’esito negativo del secondo tampone. La medesima rientrava al Pronto soccorso di G. T. con i dispositivi anti Covid-19 solo alle ore 22:18 circa del 19/10/2021, dunque dopo circa 46 minuti. Il paziente decedeva alle ore 22.15.
L’impugnazione della misura interdittiva in Cassazione
Secondo la difesa, la motivazione dell’ordinanza violerebbe la legge e i prescritti i canoni della responsabilità colposa omissiva risultando illogica, congetturale, carente, lacunosa e contraddittoria in quanto desumerebbe la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza da una serie di elementi rivelatisi equivoci e inconferenti.
In particolare, nell’atto di appello, la difesa aveva eccepito come non vi fosse agli atti alcun riscontro che corroborasse le dichiarazioni rese dalla dott.ssa del Pronto Soccorso, la quale ha sostenuto di avere proposto all’equipaggio dell’ambulanza “Tango” di utilizzare i dispositivi di protezione individuale presenti presso il P.S. di Gioia Tauro. Non vi sarebbe stata ragione per non accogliere tale offerta e non vi sarebbe la prova che ella sia stata avvisata della sottoposizione del paziente a un secondo tampone antigenico che sarebbe risultato negativo alle 21:37, quando l’autoambulanza si era già avviata.
Sempre secondo la tesi difensiva della dottoressa indagata, il Tribunale avrebbe trascurato la consequenzialità cronologica degli eventi e ignorato che punto fermo e incontrovertibile del caso concreto fosse che l’unica soluzione tecnicamente possibile per evitare il decesso del paziente sarebbe stata la procedura di c.d. rivascolarizzazione percutanea, come confermato anche dai Consulenti tecnici del P.M., da eseguire entro 120 minuti dalla diagnosi STEMI. Considerato che la vestizione degli operatori dell’ambulanza avrebbe richiesto un tempo minimo di 10 minuti, il trasferimento del paziente verso l’ospedale di Reggio Calabria non avrebbe potuto essere iniziato prima delle ore 21:47, essendo l’esito del secondo tampone antigenico pervenuto alle ore 21:37; considerati i tempi necessari per il trasporto all’ospedale di Reggio Calabria, per l’esecuzione di un ulteriore tampone, per il trasferimento dal Pronto soccorso alla sala di emodinamica e per la coronarografia preparatoria all’angioplastica, oltre che per la disostruzione del vaso interessato. Pertanto, l’intervenuto decesso del paziente alle ore 22:15 dimostrava come il comportamento alternativo corretto dell’indagata non avrebbe potuto evitare l’evento.
La S.C. evidenzia che, al di là della circostanza che il medico del pronto soccorso avrebbe indicato alla indagata di utilizzare i dispositivi anti Covid presenti, vi sono una pluralità di ulteriori elementi indiziari, tra i quali le sommarie informazioni rese dal Direttore del SUEM 118 di Reggio Calabria a proposito del comportamento tenuto dall’indagata dopo aver ricevuto la comunicazione della negatività del tampone del paziente, le sommarie informazioni rese dal referente territoriale del SUEM per la piana di Gioia Tauro a proposito della comunicazione a tutte le PET dell’obbligo di provvedere per tempo all’approvvigionamento dei presidi Covid e del fatto che tutto il personale fosse a conoscenza della presenza di un reparto Covid presso l’ospedale di Gioia Tauro, la registrazione delle telefonate con la centrale operativa da cui risultava che le comunicazioni circa la negatività del secondo tampone fatto al paziente non fossero state correttamente recepite, come ripetutamente affermato nella conversazione intercorsa tra la dott.ssa del pronto soccorso e l’operatore alle ore 22:00.
Relativamente alla gravità indiziaria, il Tribunale ha sottolineato: “che da quasi un anno esisteva una circolare che disponeva l’obbligo di tenuta dei dispositivi di protezione individuale a bordo delle ambulanze, che la dottoressa indagata era l’unico Medico in servizio a Taurianova in relazione all’unica ambulanza della quale tale presidio era dotato, che fosse discutibile la prassi seguita dalla indagata di non portare le tute se non quando la centrale operativa avesse comunicato la presenza di un paziente positivo. La doglianza difensiva risulta, dunque, smentita dalla lettura del provvedimento e meramente reiterativa di censure già sottoposte al giudice dell’appello cautelare. Del tutto ininfluente ai fini del giudizio di legittimità del provvedimento si presenta l’allegazione fattuale circa il falso negativo del tampone effettuato.”
La S.C. rammenta che qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, la misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio può essere disposta a carico del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 287, comma 1, c.p.p.. e che, data la contestuale valutazione della gravità indiziaria inerente al delitto di cui all’art.328 c.p., ininfluente ai fini del vaglio di legittimità si presenta ogni argomentazione, peraltro tendente a ottenere una inammissibile rivalutazione del compendio indiziario, inerente al nesso di causa, atteso che il provvedimento cautelare è sostenuto dalla contestazione di un reato di mera condotta.
Anche la censura inerente le esigenze cautelari è finalizzata a proporre una diversa valutazione degli elementi posti a sostegno del provvedimento impugnato ed è inammissibile.
Il Tribunale ha analiticamente svolto la valutazione circa l’attualità del pericolo, anche con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 328 c.p., descrivendo la condotta dell’indagata come sprezzante, oppositiva, incurante della necessità di bilanciare la vita di un paziente che versava in condizioni gravissime con il rischio di contagio a fronte di un tampone lievemente positivo e di un secondo tampone risultato negativo in paziente vaccinato.
I consapevoli e ingiustificati rifiuti e ritardi sono stati ritenuti comportamenti indicativi del disinteresse della dottoressa del 118 verso i rischi per la salute del paziente a fronte di un minore e pressoché inesistente pericolo di contagio, accompagnati da una condotta successiva ai fatti che i Giudici del merito cautelare hanno insindacabilmente considerato indicativa della mancata presa di coscienza della gravità della condotta.
L’attualità e concretezza del pericolo sono state collegate alla promozione dell’indagata al ruolo di dirigente medico nel medesimo presidio nelle more intervenuta, coerentemente con la necessità di attribuire rilievo alla permanenza nell’ufficio o nella funzione che hanno reso possibile la commissione dei delitti per i quali si procede. Per altro verso, la cessata situazione emergenziale connessa alla pandemia posta in rilievo nel ricorso non avrebbe potuto condurre a diverso esito, posto che la locuzione “delitti della stessa specie di quello per cui si procede” contenuta nell’art.274 lett. c) cod. proc. pen. si riferisce a reati lesivi della stessa categoria di interessi e valori, e non già di delitti che violino la stessa disposizione di legge o che presentino connotazioni di similarità assoluta rispetto al reato per cui si procede.
Con riguardo alla durata della misura cautelare (12 mesi di interdizione), la regola iuris evidenzia, tuttavia, una contraddizione nel provvedimento impugnato, che nel dispositivo ha confermato la misura interdittiva disposta dal GIP nella misura massima (12 mesi), mentre nella motivazione ha espresso un giudizio di proporzionalità e adeguatezza “per una durata temporale più ridotta”.
La Suprema Corte non può provvedere a correggere tale contraddizione, trattandosi di valutazione discrezionale rimessa al Giudice del merito cautelare, per cui l’ordinanza impugnata viene annullata limitatamente alla durata della misura, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria in diversa composizione (Cassazione Penale, sez. IV, dep. 04/03/2024, n.9188).
Avv. Emanuela Foligno
Leggi anche: