Ai fini dell’obbligo del repêchage vengono in rilievo soltanto le mansioni inferiori che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore di lavoro ovvero quelle che egli abbia già svolto

L’obbligo di repêchage

L’obbligo di repêchage – ossia l’onere di non potere ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato al recesso in altre mansioni diverse da quelle che svolgeva – ha come fine quello di assicurare attraverso un contemperamento tra l’interesse del datore di lavoro a perseguire una organizzazione produttiva ed efficiente e quello del lavoratore diretto alla stabilità del posto, che il recesso datoriale rappresenti l’extrema ratio cui ricorrere.

La giurisprudenza è concorde nel ritenere che esso appartenga alla tematica del giustificato motivo oggettivo del licenziamento e che richieda la prova datoriale L. n. 604 del 1966, ex art. 5.

Anche nel caso in esame, era venuta in rilievo la regola del repêchage, ove la causale del recesso intimato alla dipendente era stata individuata proprio nella soppressione della sua posizione lavorativa.

In primo luogo i giudici della Suprema Corte (Sezione Lavoro, sentenza n. 31521/2019) hanno ribadito che, in attuazione del principio di buona fede e di correttezza, il datore di lavoro deve prospettare al dipendente, al fine di ottenerne il consenso, la possibilità di reimpiego in mansioni inferiori.

L’eventuale consenso, a tale prospettazione, deve essere anteriore o coevo al licenziamento e non può essere successivo ad esso.

Il consenso, inoltre, deve essere espresso liberamente, anche in forma tacita, ma attraverso fatti univocamente attestanti la volontà del lavoratore di aderire alla modifica “in peius” delle mansioni.

Ad ogni modo, si è chiarito che la possibilità del cd. repêchage debba essere condotta con riferimento a mansioni equivalenti.

La giurisprudenza si è, però, posta il problema se l’espulsione del lavoratore dal processo produttivo non possa avvenire – se non prima che non sia stato tentato ogni utile tentativo di reimpiego all’interno dell’azienda – anche in mansioni inferiori.

Il reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori

Su tale tema la giurisprudenza è divisa tra due orientamenti. Ad ogni modo, la giurisprudenza di legittimità ha operato una sintesi affermando sì la possibilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori, purché queste rientrino nel bagaglio professionale dello stesso (Cass. 8.3.2016 n. 4509; Cass. n. 21579 del 2008).

A tal proposito è stato anche precisato che, qualora il lavoratore svolga ordinariamente in modo promiscuo mansioni inferiori, oltre quelle soppresse, a carico del datore di lavoro sussiste l’obbligo di repêchage anche in ordine alle mansioni inferiori (Cass. n. 13379 del 2017).

«In tale ricostruzione vanno tenuti, naturalmente, pur sempre in considerazione, per l’operatività dell’istituto, i due limiti rappresentati dalla ragionevolezza dell’operazione che non deve comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali (Cass. n. 239 del 2005; Cass. n. 11427/2000) e dal rispetto della dignità del lavoratore (Cass. n. 16305 del 2004), oltre alla necessità del consenso di questi».

La decisione

Se quanto affermato è vero, può ritenersi che ai fini dell’obbligo del repêchage, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore (cioè che non siano disomogenee e incoerenti con la sua competenza) ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza.

Resta fermo, comunque, che grava sul datore di lavoro l’obbligo di provare – in base a circostanze oggettivamente riscontrabili – che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, altrimenti il rispetto dell’obbligo di repêchage risulterebbe sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore (Cass. n. 23340 del 2018).

La redazione giuridica

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