Accolto il ricorso di un imputato, affetto da schizofrenia paranoide cronico, che contestava il mancato accertamento da parte dei giudici del merito della propria capacità a partecipare attivamente al processo

Era stato condannato, in sede di merito, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. L’uomo aveva proposto ricorso per cassazione eccependo che la corte territoriale avesse omesso di procedere ai necessari accertamenti peritali per verificare se l’appellante  fosse in grado di partecipare attivamente al processo e di esercitare il suo diritto di difesa consapevolmente, ovvero di sospendere il procedimento penale, senza ulteriori accertamenti. L’uomo, infatti, sulla base di idonea documentazione medica relativa al suo stato di salute mentale, risultava affetto schizofrenia di tipo paranoide cronico dall’età di 16 anni.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 5091/2020 ha ritenuto di accogliere il ricorso, in quanto fondato, e ha annullato la sentenza impugnata rinviando il caso alla Corte d’appello per un nuovo esame.

I Giudici Ermellini hanno infatti chiarito che, sulla base di quanto disposto dall’art. 70 del codice di procedura penale “quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia”.

Con riferimento a tale previsione normativa, la giurisprudenza di legittimità ha inoltre precisato che, in tema di capacità dell’imputato a stare in giudizio, il giudice – alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’espressione “se occorre” – può non procedere ad approfondimento specialistico qualora si convinca autonomamente dello stato di incapacità, mentre a fronte di un “fumus” di incapacità non può negare l’indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione.

Nel caso in esame il “fumus” in questione – inteso come astratta possibilità che l’imputato sia affetto da una patologia mentale in grado di incidere negativamente sulla sua capacità di partecipare coscientemente al processo e, dunque, di difendersi nel pieno possesso di tutte le sue facoltà di comprensione e discernimento – era stato effettivamente rappresentato alla corte territoriale dalla difesa, come comprovato dalla documentazione prodotta ed allegata al ricorso. Il difensore di ufficio dell’imputato, inoltre,  aveva depositato innanzi alla corte di appello istanza volta ad ottenere che in via preliminare venisse accertata la capacità del suo assistito a partecipare coscientemente al processo.

La corte territoriale, quindi, a fronte di un evidente fumus di incapacità debitamente documentato, portato alla sua attenzione anteriormente alla decisione da prendere, avrebbe dovuto nominare un perito per gli opportuni accertamenti oppure avrebbe dovuto dare idonea motivazione del diniego.

Il giudice di secondo grado, invece, non aveva provveduto in tal senso, “non risultando assunta decisione alcuna sull’istanza difensiva, laddove, a fronte di una diagnosi che metteva fondatamente in discussione la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo di secondo grado, in ragione della malattia mentale cronica da cui era affetto, che incideva sulla sua capacità di critica e di giudizio, riducendola notevolmente, la corte di appello avrebbe dovuto verificare quali fossero le effettive condizioni del P. al momento della presentazione dell’istanza”.

La redazione giuridica

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