Respinto il ricorso di un lavoratore che chiedeva di essere indennizzato per le malattie sofferte, senza aver dato idonea allegazione dell’esposizione a rischio tutelato

La Corte d’appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato la domanda di un cittadino volta a conseguire la rendita o l’indennizzo rivendicati in conseguenza delle malattie sofferte (perdita della capacità olfattiva e gravi irritazioni cutanee degli arti superiori) dalle quali era affetto, ritenendo che egli non avesse dato idonea allegazione (e prova) dell’esposizione a rischio tutelato.

L’uomo, nel ricorrere per cassazione, deduceva omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per avere la Corte di merito, trascurato di prendere visione della copiosa documentazione prodotta dal lavoratore, non essendo contestato lo svolgimento della mansione di “meccanico dei refrigeratori”.

Inoltre, denunciava “violazione del T.U. n. n. 1124 del 1965” nonché “mancata applicazione delle norme per l’individuazione delle malattie professionali” avendo, la Corte territoriale, trascurato che il lavoratore — dotato di patentino da frigorista proprio in considerazione della necessaria manipolazione degli impianti di refrigerazione e condizionamento contenenti gas fluorurati incidenti sull’effetto serra — andava incluso nell’ambito dei lavoratori le cui patologie sono riconosciute, dal d.m. 10.6.2014, come tecnopatie, con conseguente irrilevanza di produzione di prove.

Infine, eccepiva che — essendo ampiamente documentata la mansione svolta, i compiti assegnati contrattualmente, i rischi derivanti dall’esposizione a gas refrigeranti e le patologie — anche in caso di patologia non tabellata si sarebbe dovuto ricondurre causalmente ogni patologia sofferta alle lavorazioni svolte, sussistendo inequivocabilmente il rischio che la Corte distrettuale aveva negato.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 27817/2021 ha ritenuto le doglianze inammissibili.

Le censure, infatti, difettavano di decisività perché non era dedotta, se non in termini meramente assertivi, l’incidenza dell’attività di lavoro svolta sulle patologie sofferte, laddove la Corte d’appello aveva evidenziato la genericità delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e concernenti l’esposizione qualificata a sostanze nocive; allegazioni che — in considerazione del peculiare sistema di preclusioni e decadenze tipico del processo del lavoro — dovevano essere tempestivamente indicate nel ricorso introduttivo del giudizio.

Dal Palazzaccio hanno poi ricordato che, in base alla giurisprudenza di legittimità, in tema di malattie incluse nella tabella, al lavoratore è sufficiente dimostrare di esserne affetto e di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch’essa tabellata, affinché il nesso eziologico sia presunto per legge ove la malattia stessa si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella, mentre non risultava — nel caso di specie — che la specifica patologia sofferta, la lavorazione nociva svolta, il periodo di insorgenza della tecnopatia fossero state tempestivamente allegate nel ricorso introduttivo del giudizio.

Infine, la sentenza impugnata non aveva escluso la possibile correlazione tra le malattie da cui era affetto il ricorrente e la sua pregressa esposizione a gas refrigeranti, ma piuttosto, muovendo dal fatto che l’attività lavorativa alla quale il ricorrente era stato addetto non apparteneva al novero di quelle c.d. tabellate, aveva ritenuto che né la disamina del consulente tecnico d’ufficio né la prova documentale avessero dato validi riscontri circa la presenza di sostanze nocive, con ciò conformandosi al principio secondo cui la presunzione legale di derivazione professionale di una malattia vale solo rispetto alle lavorazioni tabellate, essendo altrimenti onere del lavoratore provare la riconducibilità della propria malattia all’attività svolta.

La redazione giuridica

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