Una sentenza del Tribunale di Milano ha fornito precisazioni in merito all’ articolo diffamatorio e ai casi in cui si definisce come tale

Cosa definisce un articolo diffamatorio? E qual è il limite del diritto di cronaca?

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 12229 del 4 dicembre 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di diritto al risarcimento dei danni a seguito di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.).

Un articolo diffamatorio è quello che di fatto non corrisponde al contenuto degli atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Viceversa, non si può parlare di diffamazione.

Nel caso di specie, un commercialista aveva agito in giudizio nei confronti dell’editore di un giornale, del relativo direttore, nonché di un giornalista, parlando di un articolo diffamatorio pubblicato dalla loro testata.

Nello specifico, l’articolo parlava di una presunta frode fiscale perpetrata dal commercialista. In seguito, si era svolto un procedimento penale, conclusosi con la piena assoluzione dell’imputato.

Proprio a seguito dell’assoluzione, il commercialista aveva deciso di agire in giudizio. Voleva ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Danni a suo dire subiti a seguito della pubblicazione dell’articolo, il quale avrebbe leso la sua reputazione.

Secondo il commercialista,“sia per le espressioni utilizzate sia per la mancata verità di alcune notizie il contenuto dell’articolo superava i limiti del diritto di cronaca”.

Pertanto a suo avviso era un articolo diffamatorio e i convenuti dovevano essere condannati ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c. e dell’art. 11 legge stampa.

Il Tribunale di Milano, tuttavia, ha ritenuto tale richiesta infondata.

Secondo i giudici, la legge n. 47 del 1948 “riconosce a ciascun soggetto il diritto di diffondere tramite la stampa notizie e commenti”, così come garantito dall’art. 21 della Costituzione. Questa “sancisce il diritto di esprimersi liberamente ed il diritto di utilizzare ogni mezzo allo scopo di portare l’espressione del pensiero a conoscenza del massimo numero di persone”.

Questa libertà è riconosciuta anche a livello sovranazionale, dall’art. 10, primo comma, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In essa “la consacra come uno tra i più importanti diritti dell’individuo”.

Non solo. Scrive il giudice che “la libertà di diffusione del pensiero non riguarda solo le informazioni e opinioni neutre o inoffensive ma anche quelle che possano colpire negativamente, essendo ciò richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non si ha una società democratica”.

Con particolare riferimento alla cronaca giudiziaria, poi, il Tribunale ha ricordato come la Corte di Cassazione abbia precisato “che il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti si deve confrontare anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.”.

Ne consegue, quindi, che “la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso”.

Nel caso di specie, secondo il Tribunale, il contenuto dell’articolo oggetto di contestazione aveva “effettivamente contenuto lesivo della reputazione dell’attore” (anche perché la notizia del suo arresto riguardava “un fatto di evasione di IVA, cosa che per un commercialista è particolarmente disonorevole”) ma sussisteva, altresì, la “scriminante del diritto di cronaca”.

Inoltre, le parti convenute in giudizio avevano dimostrato che le notizie pubblicate erano state tratte “da un comunicato emesso dalla Guardia di Finanza”, “basato sulle informazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Milano”.

Quanto, poi, alla “verità del fatto”, il Tribunale ha osservato quanto segue.

Cioè che non sussiste “un obbligo del giornalista di svolgere un’attività di ‘riscontro’”. Ciò in quanto “la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso”.

Pertanto, secondo il Tribunale, “è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria”.

Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria. Inoltre, ha condannato il commercialista al pagamento delle spese processuali.

 

 

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