Per il camice bianco, colto da una fulminante meningite da pneumococco, non c’è stato nulla da fare. Autorizzata dai familiari la donazione degli organi

Un chirurgo di 40 anni è morto nelle scorse a Napoli a causa di una fulminante meningite da pneumococco. Era stato ricoverato la sera di Capodanno presso una clinica di Mugnano, dove prestava servizio. Successivamente è stato trasferito prima all’Ospedale del Mare e poi presso il nosocomio Cotugno, dove è arrivato in condizioni disperate. Per lui non c’è stato nulla da fare.

La meningite da pneumococco a differenza di altre tipologie è “infettiva ma non virale”. Per questo l’Azienda ospedaliera ha chiarito che non è stata attivata nessuna profilassi. La famiglia del medico ha autorizzato la donazione degli organi. Il suo cuore, a quanto si apprende, salverà la vita di un bambino.

“Apprendo dai media del gesto di grandissima generosità  per la autorizzazione della donazione degli organi, donando un cuore nuovo ad un piccolo paziente. Lavorare per salvare delle vite è la missione di ogni medico e non poteva esserci modo più appropriato per continuare l’opera di un medico e onorare la memoria di chi purtroppo non è riuscito a vincere la battaglia contro la malattia”. Così il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli, Silvestro Scotti, nell’esprimere il cordoglio di tutta la categoria alla famiglia del camice bianco scomparso.

Scotti sottolinea poi come questa morte debba far riflettere tutti sull’esigenza di ripensare ai passi compiuti negli ultimi anni.

“Si è tanto discusso di obbligo o meno – sottolinea – purtroppo approfondendo poco i passi necessari per garantire nell’interesse pubblico la disponibilità di vaccini che possono salvare una vita, anche e soprattutto nei confronti di chi, come i medici, è spesso esposto a grandi rischi di contagio”.

Per Scotti aver escluso nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale la disponibilità, per le categorie esposte a rischio (medici e professioni sanitarie) del vaccino anti-pneumococcico è stato ed è un errore. “Non possiamo permettere che chi lavora a stretto contatto con i pazienti non possa contare su una offerta di copertura completa, aspettandoci che continui la sua opera con la donazione degli organi post-mortem e non semplicemente continuando ad assistere con dedizione professionale tutti i pazienti nel corso di una vita che qualcuno potrebbe definire “più fortunata”, ma che io amo definire più normale”.

 

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