La Corte di Cassazione offre una importante interpretazione in campo di diritto di famiglia sul riconoscimento della sentenza di adozione straniera per le coppie non coniugate (Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35437).
Con la sentenza a commento la Suprema Corte afferma un importante principio in tema di adozione internazionale e chiarisce quale sia la differenza con l’adozione estera e le conseguenti leggi applicabili.

La vicenda giuridica

La vicenda nasce dalla richiesta di una coppia, non coniugata, rivolta al Sindaco di Milano, di riconoscimento in Italia della sentenza statunitense di adozione della figlia minore.
La richiesta veniva negata in quanto la coppia non era legata dal vincolo del matrimonio e non aveva ottenuto l’idoneità all’adozione internazionale, né aveva seguito il percorso adottivo indicato dagli artt. 29-36, Legge n. 218/1995. Conseguentemente la coppia si è rivolta all’autorità giudiziaria.

Il ricorso in Appello

La Corte d’appello di Milano, con decreto n. cronol. 886/2023, pubblicato il 3/4/2023, ha respinto il ricorso proposto dalla coppia nei confronti del Sindaco del Comune di Milano, che non consentiva di riconoscere in Italia gli effetti della sentenza di adozione della minore pronunciata, in data 15/12/2017, dal Tribunale distrettuale – 45 Distretto Giudiziario della Contea di Bexar – Texas – USA, e negava la relativa trascrizione (“per non essere “rispettati i requisiti previsti dall’art. 31, comma 2 o dall’art. 29, art. 36, commi 1, 2, e 3, poiché i ricorrenti, che non risultano legati da vincoli di matrimonio, non hanno ottenuto l’idoneità all’adozione internazionale ai sensi dell’art. 29 bis, né hanno seguito il percorso adottivo indicato dall’art. 29, art. 36, commi 1, 2 e 3 Legge citata…”).
In particolare, la Corte territoriale ha osservato che: – Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori)”, solo le adozioni c.d. “interne” pronunciate da Stati nei confronti di cittadini non italiani, possono essere riconosciute secondo il disposto delle citate norme D.I.P (L. 31 maggio 1995, n. 218); b) nel caso di specie, l’adozione è stata compiuta da cittadini (anche) italiani nei confronti dei quali deve essere applicata la disciplina in vigore nella Repubblica italiana, e in particolare la L. n. 184 del 1983, art. 36, trattandosi di cittadini italiani (asseritamente) residenti e dimoranti all’estero da più di due anni al momento della pronuncia di adozione della quale oggi chiedono il riconoscimento, non risultando che la cittadinanza originaria italiana dei richiedenti (avendo essi acquisito quella statunitense successivamente) sia mai stata da loro rinunciata ai sensi della L. n. 91 del 1992, art. 11; c) l’art. 19, comma 2, della Legge D.I.P. fissa il principio secondo il quale, ai fini dell’applicazione delle relative norme, se una parte possiede la cittadinanza italiana questa prevale sulle eventuali altre di cui essa sia in possesso con quella italiana concorrenti.

Il ricorso in Cassazione

La coppia si rivolge alla Corte di Cassazione che accoglie il ricorso.
La S.C. afferma il seguente principio di diritto:
“ove ricorrano le condizioni per il riconoscimento della sentenza di adozione straniera, ex art.41, comma 1, l.184/1983, la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottandi non si traduce in una manifesta contrarietà all’ordine pubblico, ostativa al suddetto riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nel nostro ordinamento, anche a prescindere e dall’accertamento in concreto della piena rispondenza del provvedimento giudiziale straniero all’interesse della minore”.

La Convenzione dell’Aja

In sintesi, la Convenzione dell’Aja si applica allorché un minore, residente abitualmente in uno Stato contraente (“Stato d’origine”) è stato, o deve essere, trasferito in un altro Stato contraente (“Stato di accoglienza”), sia a seguito di adozione nello Stato d’origine da parte di coniugi,

o di una persona residente abitualmente nello Stato di accoglienza, sia in vista di tale adozione nello Stato di accoglienza, o in quello di origine.
In sostanza, l’adozione internazionale comporta lo sradicamento del minore dallo Stato di origine ed essa è quindi sottoposta a tutte le cautele previste dall’art. 4 Convenzione e dalla L. n. 184 del 1983, artt. 35 e 36.
Anche Le Sezioni Unite (Cass. S.U. 9006/2021) ricordano che “non tutti i provvedimenti esteri di adozione dei quali si chiede il riconoscimento confluiscono nella definizione normativa di “adozione internazionale”, ma al contrario, essa è limitata alle ipotesi in cui i richiedenti risiedano entrambi in […], o siano cittadini italiani risiedenti all’estero (art. 29 bis, commi 1 e 2)”.
Conclusivamente, se l’adozione è stata pronunciata all’estero, essa è sottoposta alla disciplina della L. n. 218 del 1995, art. 41, comma 1, che prevede la riconoscibilità del provvedimento da parte dello Stato italiano, a norma del successivo art. 65, mediante riconoscimento automatico da parte dell’Ufficiale dello Stato civile purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della persona (“I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66. Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozioni dei minori”).

Adozione estera e adozione internazionale

L’adozione ottenuta dalla coppia, nei confronti di una bambina cittadina statunitense, per nascita, “è un’adozione estera e non un’adozione internazionale”, con conseguente applicazione dell’art. 41, comma 1, d.i.p., relativo al riconoscimento automatico, difettando in radice, la ragion d’essere propria della Convenzione de L’Aja e della relativa disciplina interna (L. n. 184 del 1983, artt. 29 e segg.) non comportando il riconoscimento dell’adozione straniera alcuno sradicamento del minore dallo Sato di origine e non potendo essere considerata la stessa alla stregua delle adozioni di comodo, ottenute da uno Stato straniero al fine aggirare la più rigorosa disciplina interna.
La Corte d’Appello di Milano, quindi, ha errato nel ritenere che il cittadino italiano, anche se munito di doppia cittadinanza, che abbia adottato all’estero, debba attivare la procedura di cui all’art. 36 L. Min. già menzionato, con conseguente applicabilità della legge italiana circa i presupposti per l’adozione (tra cui quello del vincolo coniugale).
Questa decisione pone in rilievo anche il tema secondo cui l’adozione è consentita ai “coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni”, e se esso possa essere inteso come limite di ordine pubblico internazionale.


Al riguardo, le Sezioni Unite, sempre nella pronuncia n. 9006/2021 sopra richiamata, hanno chiarito che “nell’ordinamento coesistono principi di derivazione costituzionale e convenzionale che si pongono rispetto ad essi – le condizioni di accesso alla genitorialità adottiva legittimante contenute nella L. n. 184 del 1983, art. 6 e la L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20 – in una condizione di netta sovraordinazione e preminenza sia per la loro collocazione tra i diritti inviolabili della persona sia per il grado di condivisione che ne costituisce un tratto peculiare”. Nello specifico: il principio del preminente interesse del minore nelle determinazioni che incidono sul suo diritto all’identità, alla stabilità affettiva, relazionale e familiare, contenuto nell’art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea, nell’art. 3 della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo. In secondo luogo: il principio della parità di trattamento tra tutti i figli, nati all’interno e fuori del matrimonio o adottivi, che trova la sua fonte costituzionale negli artt. 3 e 31 Cost.


Avv. Emanuela Foligno

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