Le lezioni, rivolte a medici e infermieri, mirano a prevenire le aggressioni mediante una serie di interventi basati sulla comunicazione verbale e non, con l’obiettivo di diminuire l’intensità della tensione nella relazione interpersonale

L’89,6% degli infermieri è stato vittima di violenza fisica/verbale/telefonica o di molestie sessuali da parte dell’utenza sui luoghi di lavoro. Il dato allarmante è stato elaborato il Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università di Tor Vergata di Roma. La ricerca mette in evidenza la necessità assoluta di un intervento che blocchi il fenomeno sempre più diffuso delle aggressioni.

Per quanto riguarda la violenza fisica, nel 43,1% dei casi si tratta di lancio di oggetti e sempre nel 43,1% di casi di sputi verso l’operatore sanitario. A seguire ci sono graffi (39,1%), schiaffi e pugni (37,2%), tentata aggressione (36,6%) spintoni (35,4%), calci (26,2%) e così via. Per non parlare di quante volte gli infermieri sono oggetto di violenze verbali (urla, offese, insulti, minacce ecc.). Nel 26,6% dei casi è capitato più di 15 volte, ma nel 35,7% tra 4 e 15 volte e nel 31,9% dei casi da una a tre volte.

Per quanto concerne le reazioni alla violenza, lo studio evidenzia che nel 41,8% dei casi scatta negli infermieri difficoltà/calo di concentrazione per l’intero turno, nel 16,9% paura e nella stessa percentuale rabbia, nel 18,9% dei casi chi è stato soggetto a violenza delega le proprie attività verso l’utente a un altro collega e nel 5,5% dei casi si arriva anche a soffrire di un comportamento di esclusione tale da compromettere l’esecuzione delle proprie attività.

Questi numeri, assieme a quelli elaborati dalla Federazione degli Ordini dei medici e dai sindacati di categoria aumentano ancora la dimensione del fenomeno.

Il 50% dei medici ha subito, nell’ultimo anno, aggressioni verbali; il 4% è stato vittima di violenza fisica. Oltre il 38% si sente poco o per nulla al sicuro e più del 46% è abbastanza o molto preoccupato di subire aggressioni.

Per questo la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, assieme alla FNOMCeO, offrono gratuitamente ai loro iscritti corsi FAD (formazione a distanza) specifici. L’obiettivo è quello di diminuire tensione e aggressività nella relazione interpersonale, attraverso interventi di comunicazione verbale e non..

Il progetto si chiama “C.A.R.E. (Consapevolezza, Ascolto, Riconoscimento, Empatia) – Prevenire, riconoscere, disinnescare l’aggressività e la violenza contro gli operatori della salute”. E’ composto di 12 sezioni; per ogni sezione sono previste alcune attività obbligatorie: uno o più video relativi ad argomenti specifici; la consultazione dei testi dei video; un questionario di valutazione ECM con domande a risposta multipla che sondano le conoscenze acquisite.

Il responsabile-realizzatore dei corsi è il Prof. Massimo Picozzi, psichiatra, criminologo e scrittore, docente per la Polizia di Stato e per l’Arma dei Carabinieri, responsabile del laboratorio di “Comunicazione non verbale e gestione dei conflitti” presso lo IULM di Milano.

La filosofia del corso si basa sulla de-escalation, una serie di interventi basati sulla comunicazione verbale e non verbale, appunto, che hanno l’obiettivo di diminuire l’intensità della tensione e dell’aggressività nella relazione interpersonale.

La persona che assume un atteggiamento aggressivo – si legge in una nota delle Federazioni – è un soggetto che non si sente compreso e attraverso il suo comportamento violento vuole esprimere questo disagio.  Il compito di ogni operatore è riconoscere queste particolari esigenze per evitare episodi di rabbia incontrollata e comprendere il suo stato d’animo e le sue emozioni.

“Uno dei dati a nostro avviso più allarmanti – spiega il presidente della FnomCeO, Filippo Anelli – è la rassegnazione che emerge dalle risposte dei nostri colleghi. Il 48% di chi ha subito un’aggressione verbale ritiene l’evento ‘abituale’, il 12% ‘inevitabile’, quasi come se facesse parte della routine o fosse da annoverare tra i normali rischi professionali. Le percentuali cambiano di poco in coloro che hanno subito violenza fisica: quasi il 16% ritiene l’evento ‘inevitabile’, il 42% lo considera ‘abituale’”.

“Questa percezione falsata e quasi rassegnata del fenomeno – aggiunge Anelli – porta con sé gravi effetti collaterali, come la mancata denuncia alle autorità, l’immobilismo dei decisori, ma anche il burnout dei professionisti, con esaurimento emotivo, perdita del senso del sé e demotivazione nello svolgimento della professione”.

La nostra professione – ha commentato la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli – “ha come scopo il rapporto coi pazienti. È per noi un elemento valoriale importante sia professionalmente che per il ‘patto col cittadino’ che da anni ci caratterizza. Per noi è essenziale avere una relazione privilegiata con loro, per comprendere come ci vedono e come possiamo soddisfare nel modo migliore i loro bisogni di salute. Ed è altrettanto essenziale che i cittadini, spesso sopraffatti dalla tensione e dalle paure che generano i problemi di salute, purtroppo il più delle volte anche gravi, comprendano che i nostri professionisti lavorano per loro e per il loro bene e non li aggrediscano, ma li mettano nelle condizioni di dare il meglio di sé per poterli davvero aiutare”.

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