Una sentenza della Cassazione ha fornito chiarimenti sul caso in cui un avvocato decida di sospendere il proprio lavoro per un cliente che non paga

Se un avvocato decide di interrompere la propria prestazione dinanzi a un cliente che non paga, può rischiare qualcosa?
A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26973/2017.
Nel caso di specie, il cliente che non paga era coinvolto in una separazione consensuale. A un certo punto aveva deciso di non versare le spese necessarie per la trascrizione del verbale di trasferimento immobili.

Il professionista, di fronte al mancato pagamento da parte dell’assistito delle spese necessarie ad eseguire la trascrizione nei RR.II. del verbale omologato, ha ritenuto di dover sospendere la sua assistenza legale.

A quel punto, il legale si è legittimamente appellato a quanto disposto dall’art.1460 del codice civile. Questo sancisce che: “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.
Alla luce di ciò, le argomentazioni dell’avvocato sono state condivise dalla Corte di Cassazione.
I giudici, tuttavia, hanno precisato che il professionista doveva ben guardarsi dall’arrecare con la sua condotta un pregiudizio irreparabile al cliente.
Questo perché, sottolinea la Cassazione “il principio di buona fede, non è mai un aspetto da tralasciare. Esso, infatti, deve pur sempre portare a una salvaguardia della parte sino a che, tale salvaguardia, non comporti un onere o un sacrificio consistente”.
In base a quanto esposto, dunque, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del professionista, annullando la sentenza con rinvio al giudice d’appello.
 
 
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