Una sentenza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti in merito alla colpa del sanitario in relazione alle Legge Gelli

La sentenza oggetto (sulla colpa del sanitario alla luce della Legge Gelli) di questa mia breve disamina appare, ad avviso di cui scrive, di notevole rilevanza, in ragione del principio di Diritto in essa enunciato e che di seguito trascriverò integralmente.

Prima di addentrarci nel merito della questione, risulta opportuno rappresentare in questa sede che, nella vicenda de qua, un sanitario, dopo essere stato condannato in primo ed in secondo grado di Giudizio, veniva poi prosciolto dalla Suprema Corte, attesa da un lato l’ammissibilità del ricorso proposto nel suo interesse dai suoi difensori e dall’altro la conseguente, intervenuta, prescrizione del reato.

Tuttavia, nella sentenza in esame gli Ermellini hanno affrontato il tema della colpa medica, alla luce di quanto disposto sul punto dalla Legge Gelli Bianco.

Orbene, occorre prendere le mosse dalla differente disciplina dettata in materia di colpa professionale dalla Legge Balduzzi e dalla Legge Gelli Bianco.

Legge Balduzzi. Il Decreto Legge n° 158/2012, poi convertito in Legge n° 189/2012, ossia, la c.d. Legge Balduzzi, prevedeva espressamente, tra l’altro, che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. Dunque, da un punto di vista prettamente penale, il citato dettato normativo riduceva la responsabilità penale del medico, ritenendo che essa sussistesse esclusivamente in caso di colpa grave (intesa quale “ profonda imprudenza, estrema superficialità o inescusabili negligenza e disattenzione”), restando esclusa nell’ipotesi di colpa lieve del sanitario, il quale si sia attenuto alle indicazioni tecniche accreditate dalla comunità scientifica.

Legge Gelli-Bianco. Il recente intervento normativo ha introdotto all’interno del codice penale italiano l’art. 590 sexies.

In particolare, la norma de qua esclude tra l’altro la responsabilità penale dell’operatore sanitario in caso di evento cagionato da imperizia del medesimo nonché nelle ipotesi in cui egli abbia rispettato le linee guida, adeguate al caso concreto.

In conclusione, fermo restando la responsabilità del medico in caso di mancato rispetto delle linee guida nonché in caso di errore nella diagnosi e dunque della correlativa terapia, il sanitario sarà altresì responsabile anche nell’ipotesi in cui con la sua condotta eviti di ritardare l’evento lesivo ai danni del paziente.

Dunque, fatto questo breve excursus di tipo squisitamente normativo, analizziamo ora quanto affermato dai Giudici di Legittimità.

Invero, nel caso in esame, gli Ermellini hanno scritto che, se da un lato la Legge Balduzzi sanciva la sussistenza della colpa grave allorquando vi fosse una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato”, inteso quale errore inescusabile, discendente dalla “mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria”, dall’altro la Legge Gelli Bianco prevede l’esclusione della punibilità in caso di imperizia del medico laddove risultino rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di Legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Dunque, così come sancito dal Collegio di Legittimità nella sentenza in parola, ratio della Legge Gelli Bianco risulta quella di “non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva”.

Pertanto, gli Ermellini hanno enunciato il seguente principio di Diritto: “L’art. 590-sexies cod. pen., comma 2, articolo introdotto dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse”.

In conclusione, afferma la Suprema Corte che nel caso in esame, i Giudici di merito non hanno svolto alcuna considerazione in ordine al rispetto o meno delle linee guida da parte del medico e che pertanto sarebbe stato opportuno un annullamento della sentenza con rinvio, che però non è possibile effettuare in ragione della intervenuta prescrizione del reato.

 

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 

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